Terza e ultima puntata
Fu dieci giorni dopo che Antonio e Linda s’incontrarono a casa mia. La quarantena proseguiva e non se ne vedeva la fine. Ma noi tre avevamo trovato il nostro equilibrio magico, e non ce ne poteva fregare di meno.
Quel pomeriggio, Antonio, sempre sotto le mentite spoglie di giardiniere, era venuto a portarmi l’ultima parte del fumo che gli avevo comprato. L’avevo invitato a cena, per festeggiare. Avevamo fumato una quantità esorbitante di marocchino.
Quando arrivò Linda, ci trovò così, fumati persi, a ridere di niente. Vide l’hashish sul tavolo e capì. Chiese se ce n’era un po’ anche per lei. Risposi di sì, felice come un bambino. Ce n’era quanto ne voleva, squitii. Rollammo un’altra canna e ce la fumammo. Poi un’altra. E un’altra. Anche Linda, a quel punto, iniziò a sghignazzare in modo irrefrenabile.
Poi, di colpo, si alzò e iniziò a spogliarsi.
- Che fai? - le dissi ridendo.
Antonio, invece, aveva smesso di ridere. Guardava Linda con occhi ebeti, adesso, mentre lei finiva di levarsi anche gli slip.
- Come che faccio? Mi preparo a scopare, no?
Guardai Antonio. Lui guardava Linda. Linda guardava me.
- In tre? - domandai alla fine.
- In tre - disse lei.
- In tre! - esclamò Antonio.
A quel punto, iniziammo a darci dentro come se non avessimo mai fatto altro nella vita.
Ed eravamo lì, tutti intenti a farci il nostro bel film porno, quando entrò Paola.
Per prima cosa, cacciò un urlo.
Un po’ per via dei riflessi annebbiati, un po’ per via del laocoontico intreccio di braccia e gambe in cui mi trovavo avvinghiato, un po’ per il fatto che ormai mi ero abituato a vivere da solo, feci fatica a capire chi fosse la donna urlante nel mio salotto. Poi capii.
- Oh, cazzo - dissi.
Linda e Antonio si alzarono e corsero a rivestirsi.
- Paola! - provai ad abbozzare con un sorriso, puntandole contro il pene eretto. - Cosa ci fai qui?
Stava mutando colore. Da bianca che si era fatta appena ci aveva visti, era diventata rossa e adesso stava passando al viola. Tremava. Forse per lo spavento. Più probabilmente per la rabbia. Provò a parlare, ma sulle prime le uscirono solo alcuni suoni disarticolati, incomprensibili.
- Cosa ci faccio qui? - proruppe infine, in lacrime. - Ci abito, pezzo di merda!
Comprendevo perfettamente la sua rabbia, le dissi con tono il più possibile conciliante, e aggiunsi che potevo spiegarle tutto. Feci per avvicinarmi a lei, col membro sempre puntato (chissà perché non mi si ammosciava, il maledetto).
- Stai lontano da me! - urlò.
- Paola, lascia che ti spieghi. Non è come pensi...
Ma quelle grottesche parole di circostanza ebbero l’unico effetto di farla imbufalire ulteriormente.
- Tu! Tu! Figlio di puttana! È finita! Basta! Ti rovino! Il divorzio ti costerà un patrimonio!
A quel punto, afferrò un soprammobile e me lo scagliò addosso. Era di ceramica e mi si frantumò in fronte.
Gemetti, e mi accasciai al suolo.
- Stronza! - le gridai, rialzandomi a fatica.
Ma lei se n’era già andata.
Mi precipitai in terrazza, nudo, col cazzo ancora eretto nonostante tutto. Scorsi la sagoma di Paola varcare il cancello ed entrare in macchina.
- Stronza! - gridai di nuovo.
Ma lei aveva già messo in moto.
Suonarono al citofono solo due minuti dopo.
Antonio e Linda si erano ormai rivestiti. Lei si stava occupando della mia ferita, Antonio di rollare una nuova canna. Io, ancora nudo, mi lamentavo di mia moglie e del destino cinico e baro che mi aveva indotto a sposarla.
- Ancora lei? - esclamai, precipitandomi a rispondere. - Adesso le faccio vedere io...
Afferrai il citofono con rabbia.
- Brutta troia, cosa cazzo vuoi ancora?
Passò qualche secondo.
- Polizia - dissero infine.
Già da alcuni mesi Antonio era, come si dice in gergo, “attenzionato” dagli sbirri. Tutto quel suo andirivieni da casa mia li aveva pertanto insospettiti, nei giorni precedenti. Lo avevano seguito più volte. Inclusa quella sera. La loro intenzione era di fermarlo e perquisirlo non appena fosse uscito dalla villa. Non avrebbero fatto di più. Non gli avrebbero trovato addosso niente. E sarebbe finita lì. Solo che, dalla strada, gli sbirri mi avevano visto uscire in terrazza, nudo. Mi avevano sentito urlare come un ossesso. E a quel punto avevano deciso di entrare a dare un’occhiata.
Non ce l’avevano mica, il mandato. Ma io ero in stato confusionale, vuoi per il fumo, vuoi per la botta in testa, e non pensai di oppormi quando mi chiesero di entrare. Avevano le mascherine in faccia, e sulle prime non collegai la cosa al virus, di cui avevo completamente dimenticato l’esistenza. Pensai che fossero in assetto anti-sommossa. Ero in piena paranoia da fumo. Temetti che avrei irrimediabilmente peggiorato la situazione, opponendomi alla loro richiesta. Prima di andare ad aprire, avevo detto ad Antonio di gettare nel water il fumo rimasto sul tavolo e di aprire le finestre per arieggiare. Pensai quindi di essere a posto, e dissi agli agenti di entrare, che non c’era alcun problema. Ma l’odore acre di hashish, tutt’altro che evaporato, colpì in pieno l’olfatto dei due. Ci perquisirono e perquisirono la casa. Non ci misero molto a trovare il fumo rimasto nel cofanetto, sul tavolino davanti al divano. Mi ero completamente dimenticato di averlo messo lì, a portata di mano. A quel punto, cercarono con più decisione, e trovarono pure i restanti otto etti, giù in cantina.
Come se non bastasse, in caserma, dove mi portarono immediatamente, cominciai a sentirmi male. Respiravo a fatica, ero accaldato. Mi provarono la febbre. Era a trentanove. Il giorno dopo mi fecero il tampone. Mi ero beccato il fottuto virus. Probabilmente da Linda, che a sua volta se l’era beccato da quello stronzo di Mario, che per andare a prendere certi documenti era tornato a casa sua, dal rumeno contagiato.
Dalla malattia venni fuori solo un mese dopo, e quasi ci rimettevo le penne. Dalla vicenda giudiziaria, invece, non ci fu modo di uscire indenne. Mi beccai tre anni. Frutto della doppia condanna per detenzione di sostanze stupefacenti a scopo di spaccio (in casa avevo troppo fumo per giustificare il consumo personale) e per induzione alla prostituzione.
Il fottuto virus, nel frattempo, è uscito di scena. La reclusione è finita per tutti, ma non per me. Mi restano altri due anni da passare qui dentro. Se non altro, posso scrivere. Ed è meglio che mi dia da fare, perché ho perso anche la causa di divorzio con Paola, che mi ha quasi ridotto sul lastrico.
Per fortuna, l’arresto e le condanne hanno aumentato la mia popolarità. Per uno scrittore pulp, è roba che fa curriculum. Alla fine, ci ho guadagnato. Vendo il triplo di prima. E, d’altra parte, non spendo più nulla né in fumo né in troie.
Finalmente un inaspettato lieto fine 🤣🤣🤣