Seconda puntata di tre
Erano passate due settimane, ma Paola non era ancora tornata. Pareva che stavolta volesse fare sul serio. Mi chiamava ogni giorno da casa di sua madre e mi diceva che dovevo prometterle che da quel momento in poi mi sarei censurato, che non mi sarei mai più permesso di criticarla, altrimenti non sarebbe più tornata con me. Io, senza perdere la calma, cercavo di spiegarle che non potevo, che uno scrittore non può mai censurarsi, che uno scrittore deve sempre esercitare il suo libero pensiero. Lei mi rispondeva che se ne sbatteva i coglioni del mio libero pensiero, che era stufa di essere trattata con arroganza, come l’ultima delle stupide. Io le spiegavo che, se la criticavo, non voleva dire che la ritenevo stupida, solo che si comportava in un modo che non condividevo. A quel punto, in genere, mi mandava a fare in culo e buttava giù.
Durante la prima settimana, il totale isolamento non mi aveva dato fastidio, anzi. Avevo scritto belle pagine, lavorato bene come non mi capitava da tempo. Per il resto, avevo letto e bevuto whisky. In quei giorni di contagio, al mondo c’era chi se la passava molto peggio.
Solo che poi, durante la seconda settimana, le mie dipendenze avevano iniziato a fare capolino, a distrarmi, a prendere lentamente il sopravvento. Fino a che, a due settimane esatte dalla partenza di Paola, non riuscii più a pensare ad altro, dalla mattina alla sera. Volevo scopare. E fumare.
Non ero un erotomane, e nemmeno un drogato. Solo che le mie tre scopatine settimanali dovevo farmele, altrimenti diventavo nervoso. E pure le mie quattro o cinque canne.
Per quanto riguarda il sesso, non era Paola, a dire il vero, a soddisfare in genere le mie voglie, se non marginalmente. Con lei si scopava una volta alla settimana, quando andava bene. Non che non fosse bella, per carità. Solo che lei, dal canto suo, non dava grande importanza al sesso, e non era per nulla fantasiosa, mentre io, che lo ero parecchio, dal canto mio di lei mi ero stufato presto, già dopo i primi anni di matrimonio. Così, avevo iniziato ad andare a puttane con una certa regolarità. Niente di squallido, però, per carità. Solo giri di un certo livello, puliti, rispettabili. Costosi, certo, ma non era il denaro a mancarmi, tra i diritti dei miei romanzi e soprattutto l’eredità dei miei genitori.
Poi, a un certo punto, mi erano venute a noia anche le puttane d’alto bordo, e avevo deciso di seguire il consiglio di un amico, un vecchio porco, che mi aveva parlato di certi giri di studentesse universitarie. La cosa bella, mi aveva detto, era che non sembravano troie, per quanto fossero belle da mozzare il fiato, ma ragazze normalissime, della porta accanto. E lo erano, in effetti. Questo rendeva tutto straordinariamente eccitante. Erano ormai tre o quattro anni che le frequentavo. Si poteva contattarle facilmente su internet, se sapevi dove cercare. Ne avevo fatte passare tante. L’avvicendamento era costante, naturalmente, trattandosi di ragazze che, dopo la laurea, mollavano il giro per mettere a frutto i soldi che avevano guadagnato. Era difficile, quindi, affezionarsi a qualcuna di loro. Ma una con cui era accaduto c’era. Linda aveva una marcia in più rispetto a tutte le altre. Andavo da lei a scopare ormai da quasi un anno, praticamente ogni settimana. Solo che, da quando era iniziata la quarantena, non mi era stato più possibile, evidentemente. E adesso che, con Paola dipartita, non toccavo una donna da ormai quasi venti giorni, sentivo le palle gonfie, doloranti.
Avessi avuto almeno un po’ di fumo, avrei potuto surrogare con quello, passando dal paradiso di carne che era il corpo di Linda al paradiso artificiale che l’hashish del mio spacciatore sapeva sempre creare con grande effetto. Ma pure su quel fronte le cose andavano male, e sempre per colpa della quarantena. Con il divieto di uscire di casa, mica potevo andarmene al circolo dei poeti, giù in città, ad aspettare Antonio per comprargli i consueti dieci grammi mensili. Ed era un vero peccato, perché, proprio prima che scoppiasse il casino del virus, Antonio mi aveva detto che stava per arrivargli un marocchino spettacolare, di qualità superiore.
Scolai il whisky e afferrai il telefono. Feci scorrere la rubrica. Mi fermai sul numero di Antonio, e poi su quello di Linda. Se solo avessi potuto farli entrare in casa mia entrambi, sospirai. E poi mi venne l’idea.
Antonio arrivò da me la mattina dopo. Aprii il cancello dal citofono, lui lo varcò e giunse alla porta. Andai ad aprire pure quella, lo vidi e gli sorrisi. Entrammo.
Poco prima, avevo ricevuto una telefonata dalla polizia. L’avevano fermato per strada e mi avevano chiesto se fosse vero che lo avevo assunto come giardiniere. Certo, avevo risposto. Mia moglie sarebbe rimasta assente a lungo, avevo spiegato, e mi serviva qualcuno che desse una bella sistemata all’esterno della villa. Spiegai che quello era il primo giorno di lavoro di Antonio e che l’avrei pagato regolarmente, coi voucher. Il fatto che Antonio fosse un perito agrario e che avesse lavorato nel verde fino a qualche anno prima, cosa che non fece fatica a dimostrare, rese il tutto ancora più credibile, e del resto, modestamente, lo avevo calcolato. Non avevano ancora vietato, a quell’epoca, le attività ritenute non essenziali, per cui la cosa fu sufficiente. Gli avevano detto di tenersi a un metro di distanza da me e da chiunque altro, e di tornare immediatamente a casa dopo il lavoro. Lui aveva ringraziato ed era ripartito verso la mia villa. Con il baule dell’auto pieno di attrezzi da giardino. E il fumo nel sacco del concime.
Ci sedemmo al tavolo del soggiorno. Antonio tirò fuori il fumo e me lo fece annusare. L’aroma era straordinario. Mi bastò quello per capire che era roba buona. Gli mollai subito il denaro, duecento euro. Li guardò sorpreso, perché per dieci grammi gliene dovevo solo cento. Il resto mancia, gli spiegai, per il disturbo e il rischio extra. Mi ringraziò di cuore.
Dopo cinque minuti, ero già in paradiso. Era il miglior fumo che avessi mai assaggiato.
- Ne voglio di più, Antonio. Voglio farmi una bella scorta. Ne hai ancora? - gli chiesi.
- Un’infinità, Michele. Purtroppo.
- Come purtroppo?
E mi spiegò tutta la storia.
Rimasi qualche istante a riflettere. Più di qualche istante, in realtà, perché l’hashish rallentava il mio pensiero. Ma non lo bloccava. Anzi.
- Senti, nei prossimi giorni, poco per volta, portami l’equivalente dei tremilacinquecento euro che devi ai tuoi fornitori.
Mi guardò incredulo.
- Cosa? Faresti questo per me?
Sorrisi come solo uno fatto di fumo può sorridere, in segno d’assenso.
E a quel punto pure lui, finalmente, sorrise.
Linda arrivò quella stessa sera.
Poco prima del suo arrivo, avevo ricevuto una nuova telefonata dagli sbirri. Avevano fermato pure lei. Evidentemente, fermavano davvero tutti. Mi avevano chiesto se era vero che pure quella ragazza stava venendo da me per motivi di lavoro. Avevo risposto di sì. Che mi serviva una correttrice di bozze, compito che in genere svolgeva mia moglie, la quale però, come già sapevano, in casa non c’era. Una diplomata al liceo classico, laureanda come Linda, era credibile in quel ruolo. Prima di lasciarla andar via, avevano detto anche a lei di tenersi a un metro di distanza da me, senza poter cogliere, evidentemente, l’ironia di quella raccomandazione.
Quando la vidi, sulla porta, fui quasi tentato di saltarle addosso. Ma Michele Rondolini è sempre stato un signore con tutti, soprattutto con le donne, checché ne dica sua moglie. Così la feci accomodare in salotto, sul divano. Mozart in sottofondo, lo spumante in fresco. Lo stappai. Bevemmo. Ci dicemmo qualcosa che ho dimenticato. Sorridemmo. Poi le allungai il denaro. Quattrocento euro. Il doppio, pure per lei. E a quel punto sì, potei saltarle addosso.
La scopai come un bufalo, sopra e sotto, davanti e dietro, e anche Linda, che venne un paio di volte, parve gradire.
Dopo il sesso, mentre si rivestiva, le chiesi come andavano le cose con i suoi studi.
- Sto per laurearmi, Michele. Purtroppo.
- Come purtroppo?
E anche lei mi spiegò tutta la storia.
Riflettei qualche istante.
- Senti, quei diecimila euro te li do io. Subito.
Mi guardò esterrefatta.
- E da qui alla tua laurea - aggiunsi - scopi solo con me. Fino a che Paola non c’è, vieni qui, a... “correggere bozze”. Quando Paola torna, se torna, verrò io da te, sperando che questa quarantena un giorno o l’altro finisca. Ci stai?
Mi buttò le braccia al collo e non finì più di baciarmi e abbracciarmi. Alla faccia del virus e del metro di distanza.
Fine della seconda puntata
La terza verrà pubblicata il 30 luglio 2022