Perché non ce l'abbiamo fatta
Versi che sanno di cose non riparate e boschi abbandonati
Eravamo troppi.
Avevamo troppi bisogni.
Pensavamo di poter crescere all’infinito.
Sprecavamo il cibo.
Mangiavamo veleni e dicevamo che erano buoni.
Non riparavamo quello che si rompeva.
Non eravamo capaci di costruire niente e compravamo tutto.
Compravamo soprattutto quello che non ci serviva.
Consumavamo risorse per produrre rifiuti.
Chiamavamo sviluppo lo sfruttamento e progresso la distruzione.
Chiudevamo la natura dentro i recinti.
Non andavamo più nei boschi.
Respiravamo, bevevamo e camminavamo, ma avevamo dimenticato di essere fatti di aria, di acqua e di terra.
Parlavamo poco e male agli animali, e non li ascoltavamo mai.
Non parlavamo mai alle piante.
Non sentivamo più gli odori.
Non vedevamo più le lucciole.
Non guardavamo più le stelle.
Eravamo tutti uguali ma alcuni erano più uguali degli altri.
Pensavamo di avere il diritto di sfruttare le piante e gli altri animali, e lo dicevamo, e lo facevamo.
Pensavamo di avere il diritto di sfruttare gli altri esseri umani, e lo facevamo, ma dicevamo il contrario.
Nessuno voleva la povertà e la guerra, ma povertà e guerra erano ovunque.
Dicevamo troppe volte io e mio.
Dicevamo troppo poco grazie, scusa e per favore.
Chiamavamo pace la guerra.
Chiamavamo lavoro la schiavitù.
Chiamavamo benefattori i malfattori e malfattori i benefattori.
Chiamavamo governo del popolo quello dei più forti.
Odiavamo i poveri e invidiavamo i ricchi.
Gli ultimi volevano essere i primi e i primi volevano restarlo.
Incontravamo centinaia di persone al giorno ma nemmeno un essere umano.
Avevamo tanti amici ma non conoscevamo nessuno.
Non conoscevamo nessun posto ma ne visitavamo in continuazione.
Ricevevamo troppi messaggi, e quasi nessuno era importante.
Eravamo informati di tutto senza conoscere niente.
Confondevamo l’istruzione con la cultura, e i dati col sapere.
Ricordavamo poco il passato e da quel poco che ricordavamo non imparavamo.
Dicevamo agli altri che ci piacevano solo perché loro lo dicessero a noi.
Ascoltavamo senza sentire e guardavamo senza vedere.
Non dicevamo quello che pensavamo e non pensavamo a quello che dicevamo.
Avevamo smesso di essere curiosi.
Volevamo le risposte ma non sapevamo fare le domande.
Non sapevamo più raccontare storie.
Correvamo ma non sapevamo dove.
Vivevamo per lavorare.
Vivevamo come se non dovessimo mai morire e morivamo come se non avessimo mai vissuto.
Davamo più importanza alla vita prima della nascita e dopo la morte che alla vita mentre si viveva.
Pensavamo che tutto quanto esistesse fosse stato creato per noi da un’unica volontà onnipotente.
Credevamo a cose effimere che non esistevano.
Non credevamo a cose importanti che esistevano.
Pensavamo di poter risolvere i problemi con la stessa mentalità che li aveva generati.
Non riconoscevamo la bellezza se non quando ce la indicavano.
Avevamo ridotto l’amore a una parentesi e il sesso a un tabù.
Vietavamo l’ozio ma perdevamo tempo a misurare il tempo.
Facevamo una cosa solo perché si poteva farla.
Pensavamo che ogni cosa dovesse avere una funzione.
Alcuni si limitavano a piangere, altri non piangevano mai.
Avevamo paura di chi era innocuo.
Avevamo fiducia in chi era pericoloso.
Avevamo dimenticato che tutto scorre.
Avevamo dimenticato che tutto finisce.
Scappavamo sempre e non restavamo mai1.
Tratto da: Marco Niro, “L’uomo che resta”, pp. 206-9.
troppo bella troppo vera troppo triste <3
Chiamavamo pace la guerra. Chiamavamo lavoro la schiavitù. Quanto è vero...