“L’uomo che resta” di Marco Niro (2025)
In libreria il nuovo romanzo di uno dei due membri del nostro collettivo: un’avventura epica nel segno del cambiamento climatico
Care lettrici e cari lettori del dispaccio,
ancora una volta nel giro di un anno a scrivervi non è il collettivo, ma soltanto uno dei suoi due membri. E questo perché, dopo “Il predatore”, è arrivato in libreria, giusto oggi, un nuovo romanzo che non ha la firma di Tersite Rossi, ma del qui scrivente Marco Niro.
S’intitola “L’uomo che resta” ed è un’avventura epica che, nel segno del cambiamento climatico, unisce a doppio filo la preistoria, i giorni nostri e un domani lontano, ma non troppo.
Di cosa e di chi si parla: uno zoppo, due archeologi e molte rovine
“L’uomo che resta” si apre nel paleolitico, laddove il clima è glaciale e una piccola banda di cacciatori-raccoglitori tenta di sopravvivere. Ne fa parte anche Artzai, un ragazzo emarginato per via della sua zoppia, che un giorno, nel ventre di una grotta, fa una scoperta straordinaria.
Poi si passa ai giorni nostri: il clima si surriscalda, ma l’umanità non sa trovare la risposta al problema. Due archeologi, Bruno e Glenda, provano a cercarla sottoterra, e la loro tenacia li condurrà a un’antica verità sepolta.
Infine il salto nel futuro, fra alcuni secoli: il clima si è fatto torrido, ma gli abitanti di Gilanos hanno imparato a conviverci. Tra loro c’è Clizia, una ragazza curiosa, attirata dalle rovine del vecchio mondo, piene di oggetti tanto incomprensibili quanto affascinanti. Saranno proprio alcuni di essi a metterla in guardia dal pericolo che incombe.
Un viaggio nel tempo, alla ricerca dell’uomo
Nella narrazione passato, presente e futuro si alternano costantemente, intrecciandosi in modo sempre più stretto e svelando sempre più chiaramente il filo rosso che unisce le tre vicende, dando vita a un’unica storia che finisce per sovrapporsi, come una metafora, a quella dell’uomo.
I personaggi, seppur appartenenti a epoche diverse, vivono le medesime situazioni, spinti dalle medesime motivazioni: inquieti, vanno alla ricerca di qualcosa d’ignoto che, quando finalmente viene scoperto, inizia a muovere meccanismi più grandi di loro, costringendoli ad affrontare, nel lungo periodo, cambiamenti sconvolgenti e pericoli in grado di condizionare la loro stessa sopravvivenza.
Dai limiti ecologici alla legge del più forte, passando per il post-umanesimo
Il tema centrale è il rapporto tra uomo e cambiamento climatico, e più in generale il rapporto tra l’uomo e l’ambiente in cui vive.
Affrontare un tema del genere mi ha portato a riflettere sulla stessa specificità umana, ricercata fin dalle sue radici preistoriche. “L’uomo che resta” ragiona costantemente sulla necessità di bilanciare il desiderio di scoperta e conquista con l’accettazione dei limiti ecologici. Inevitabilmente, quindi, i personaggi del romanzo finiscono con il rappresentare la sempiterna contrapposizione tra la legge del più forte, che di quei limiti si disinteressa, e il solidarismo di chi, rispettandoli, prova a resistere.
Questo discorso viene poi declinato in ottica futura, introducendo nel romanzo un tema controverso e ancora poco conosciuto, ma che in prospettiva potrebbe condizionare pesantemente le nostre vite: quello del post-umanesimo fondato sull’intelligenza artificiale, visto come nuova religione di un’umanità non più umana.
Una risposta all’appello di Amitav Ghosh
La spinta per scrivere “L’uomo che resta” me l’ha data la lettura di un altro libro, uscito ormai dieci anni fa: “La grande cecità” di Amitav Ghosh. In questo suo testo, il grande antropologo e scrittore indiano ha osservato che il cambiamento climatico dovrebbe essere la principale preoccupazione degli scrittori di tutto il mondo. Eppure, ancora oggi, quasi nessuno ne fa oggetto di narrazione.
La principale ragione di questo disinteresse sta, secondo Ghosh, nella tendenza della cosiddetta letteratura seria a marginalizzare elementi quali l’improbabile, gli interlocutori non-umani, gli ampi spazi e i lunghi tempi, la natura, la dimensione collettiva e la dimensione visiva. Ghosh sostiene che, solo facendo di questi elementi i pilastri delle loro narrazioni, gli scrittori saranno in grado di raccontare ciò da cui dipende la stessa sopravvivenza della nostra specie.
Nel mio piccolo, con “L’uomo che resta” ho cercato di rispondere a questo appello e di dare il mio contributo.
Cercate gli oggetti
In un romanzo centrato su quello che, per le sue enormi dimensioni spazio-temporali e la sua natura multiforme, è stato definito “iperoggetto”, ovvero il cambiamento climatico, gli oggetti giocano un ruolo parecchio importante, sparpagliati tra grotte inaccessibili, scavi archeologici e antiche rovine. Specialmente quattro, tutti e quattro nascosti, tutti e quattro sepolti, tutti e quattro da dissotterrare per provare a risolvere quel grande enigma che è la natura umana. Quattro oggetti così importanti da meritarsi la copertina del romanzo. Mentre leggerete “L’uomo che resta”, cercateli: usate i vostri occhi come cazzuole da archeologo e provate a riportarli alla luce.
Buona ricerca. E buona lettura!1
Marco Niro
“L’uomo che resta” è pubblicato da Les Flâneurs Edizioni, con cui nel 2022 avevamo già fatto uscire il nostro “Chroma - Storie degeneri”: si tratta di un editore piccolo ma battagliero (come piacciono a noi), che da anni s’impegna a produrre letteratura con indipendenza di pensiero e occhio attento alla qualità. “L’uomo che resta” può essere acquistato in tutte le librerie digitali e non, come “Amazon” o “Ibs”. Noi vi invitiamo ad acquistarlo su Bookdealer, la piattaforma online delle librerie indipendenti. Oppure, meglio ancora, entrando in una qualsiasi piccola libreria delle vostre città.
Preso ieri e già in lettura! Promette bene! :-)
Grande