Terza e ultima puntata
Johor Bahru, Malesia
- Rakib!
Il caporeparto gli si era avvicinato senza che lui, a causa del frastuono, se ne fosse accorto. Si voltò timoroso, perché da quel tono minaccioso non c’era da aspettarsi niente di buono.
- Seguimi - gli disse l’uomo.
Lui posò sul rullo il pezzo di aspirapolvere che aveva in mano e obbedì.
Senza dirgli altro, il caporeparto lo condusse fuori dallo stabilimento. Dopo pochi passi giunsero all’edificio adiacente, dove avevano sede gli uffici. Entrarono, presero un ascensore e arrivarono all’ultimo piano. Lì tutto era lindo e scintillante. Rispetto alla catena di montaggio, sembrava un altro mondo.
Se uno come lui si trovava lì, pensò Rakib, dovevano esserci guai in vista. Anche se non poteva credere che lo avessero scoperto. Era sempre stato prudente. E di Andy si fidava ciecamente.
- Potete entrare - disse la segretaria al caporeparto, dopo aver messo giù il telefono.
Il caporeparto lanciò a Rakib un’occhiataccia.
- Togliti quel berretto e vedi di darti un contegno - gli disse con tono sprezzante. - Stai per incontrare il signor Koh.
All’udire il nome del padrone, Rakib ebbe un fremito. Doveva esserci un motivo molto serio, se il signor Koh voleva vederlo. E lui non riusciva a immaginarne che uno solo.
Il caporeparto varcò la soglia e Rakib lo seguì a breve distanza.
L’ufficio era enorme. Il signor Koh sedeva alla scrivania. Seduti di lato, uno a destra e uno a sinistra, c’erano altri due uomini, anch’essi in giacca e cravatta.
- Buongiorno, signor Koh - disse il caporeparto, inchinandosi leggermente.
Il signor Koh non lo degnò né di una risposta né di uno sguardo. La sua espressione severa e i suoi occhi di ghiaccio erano tutti per Rakib.
- È lui? - domandò.
- Sissignore - disse il caporeparto.
Il signor Koh rimase a fissare Rakib ancora un istante, prima di rivolgersi al caporeparto per l’ultima volta.
- Puoi andare.
- Sissignore.
Il caporeparto s’inchinò nuovamente, stavolta in modo ancora più plateale, e lasciò l’ufficio a passo svelto.
- Rakib Akter - disse il signor Koh.
- Sì - mormorò Rakib, ormai certo che lì dentro stesse per celebrarsi il suo processo. Con una sola sentenza possibile.
- Dal Bangladesh.
- Sì.
Il signor Koh fece una pausa e prese a fissare un punto nel cielo grigio, fuori dalla vetrata. Rimase così a lungo.
- Da quanto tempo lavori per me? - disse infine, tornando a fissare Rakib.
- Da quasi un anno - rispose lui.
- E da quanto meditavi di tradirmi?
Rakib sussultò. Tenne gli occhi fissi sul pavimento di legno e stavolta non rispose.
- Pensavi che non sarei venuto a saperlo? - gli domandò il signor Koh, prima di mettersi a ridere. - Non sono diventato il padrone di questa fabbrica per caso. Il mondo è pieno di nemici e io col tempo ho imparato a difendermi. Qui dentro non può accadere nulla senza che io lo sappia.
Rakib ripensò a quando, una decina di giorni prima, dopo una giornata di lavoro più faticosa delle altre, esasperato da una busta paga che quel mese si era ulteriormente ridotta, aveva infine deciso di chiamare Andy, l’attivista. Lo aveva incontrato una prima volta solo per capire se di lui poteva davvero fidarsi. E la seconda gli aveva raccontato tutto. Il lavoro nero. Le giornate di quindici ore. I festivi non pagati. Le ferie inesistenti. Gli infortuni non denunciati. E l’ordine di tacere, pena il licenziamento e chissà cos’altro. Andy gli aveva garantito che nessuno avrebbe mai saputo chi era stato a dargli quelle informazioni.
- I miei uomini - disse il signor Koh - stanno addosso a quel ficcanaso di un inglese da quando ha iniziato a gironzolare qui attorno. Ti hanno visto quando lo hai incontrato. Hanno sentito cosa gli hai detto.
Rakib era incredulo. Entrambe le volte aveva parlato con Andy al chiuso della sua camera d’albergo. Com’era possibile che li avessero sentiti?
- Microspie - disse sorridendo il signor Koh. - Non sai che produco anche quelle, qui dentro?
Rakib strinse i pugni e chiuse gli occhi, disperato. Si era rovinato. Rovinato con le sue stesse mani.
- Quanti anni hai, Rakib?
Lui deglutì la tensione, prima di rispondere.
- Quasi diciannove.
Il signor Koh guardò di nuovo fuori dalla vetrata, a caccia del ricordo di un tempo lontano. Parve incantarsi, ma poi tornò a parlare.
- Alla tua età anch’io volevo cambiare il mondo.
Rakib mantenne lo sguardo basso e la bocca chiusa.
- Poi sono cresciuto, e ho capito che nessuno può cambiarlo, il mondo. Che le cose seguono il loro ordine naturale, e bisogna lasciarle correre. Sai come si dice, qui in Malesia?
Rakib restava una statua di sale.
- Se da giovane non sei un rivoluzionario, non hai le palle. Se lo resti quando cresci, sei un coglione.
Rakib udì nuovamente la risata del signor Koh, cui stavolta si mescolarono anche quelle degli altri due uomini.
- Ed è per questo che ti voglio perdonare.
Colpito da quelle ultime parole, Rakib uscì dall’immobilità e sollevò lo sguardo smarrito verso il padrone.
- Sì, hai capito bene - disse il signor Koh. - A voler seguire il protocollo, dovrei consegnarti a questi signori - indicò i due uomini al suo fianco. - I quali a loro volta dovrebbero trattarti per quello che sei, un clandestino, ed espellerti da questo paese.
Rakib rabbrividì all’idea di tornare in Bangladesh più povero di come ne era partito. Senza più nemmeno la speranza di una vita migliore.
- Ma siccome sei così giovane, voglio darti un’altra possibilità. Sono certo che hai imparato la lezione, adesso. Che di te potrò fidarmi, d’ora in avanti. Non solo voglio tenerti a lavorare per me, ma ti aumenterò pure la paga.
Rakib fissava il padrone senza credere alle proprie orecchie. Non quadrava, pensò. Doveva esserci sotto qualcosa. Doveva essere una trappola, quella.
- Ti basterà firmare qui - disse il signor Koh, sollevando un foglio di carta.
- Che cos’è? - domandò Rakib, sospettoso.
- Una dichiarazione. Firmando, dichiari di non aver mai incontrato Andy Barney. Poi questi signori useranno la tua dichiarazione come prova del fatto che quell’inglese, nella denuncia che ha sporto nei miei confronti, si è inventato tutto. E lo arresteranno.
Rakib impallidì.
- E dopo cosa gli succederà? - chiese con un filo di voce.
- Verrà processato per diffamazione e minaccia alla sicurezza nazionale, dato che qui dentro si evadono anche commesse dell’esercito. Sarà condannato ad almeno dieci anni. Dico bene?
Il signor Koh si era rivolto a uno dei due uomini, quello a sinistra, che annuì.
Rakib chinò il capo, schiacciato dal peso di quella scelta terribile. Andy aveva cercato di aiutarlo, come mai nessuno aveva fatto con lui da quando era in Malesia. Però anche la sua famiglia, in Bangladesh, aveva bisogno di aiuto. Le rimesse di Rakib permettevano ai suoi genitori, ai suoi fratelli e alle sue sorelle di tirare avanti. Senza di quelle, tutti loro sarebbero tornati a patire la fame, come prima della sua partenza. Nella mente tormentata di Rakib, il volto emaciato della madre soppiantò definitivamente quello fiero dell’inglese.
- Affare fatto? - gli domandò il signor Koh.
Senza rispondere, Rakib si mosse lentamente verso la scrivania.
Il signor Koh sorrise compiaciuto.
Giunto al cospetto del padrone, Rakib ricevette carta e penna.
- Una firma e sarà tutto finito, figliolo - disse il signor Koh con tono mellifluo.
Rakib, con le lacrime agli occhi, strinse la penna con mano tremante e, dopo un istante di esitazione, firmò.
Il signor Koh fece un sorriso larghissimo, ma Rakib non lo vide. Gli occhi della mente erano tornati a posarsi sul volto di Andy.
“Le vostre condizioni di lavoro miglioreranno solo se parlate. Altrimenti non cambierà mai niente. Altrimenti resterete sempre degli schiavi!”.
L’eco di quell’ultima parola rimbombò assordante nella testa di Rakib. E gli diede la forza per ribellarsi al suo destino. Con gesto fulmineo, afferrò la carta appena firmata e la ridusse in mille pezzi, sotto lo sguardo incredulo del padrone. Fu una liberazione. Fu come se, al posto della carta, avesse ridotto in frantumi le catene che fino a quel momento lo avevano tenuto prigioniero.
- Stupido ragazzo! - sbraitò il signor Koh, furibondo.
I due uomini in giacca e cravatta scattarono in piedi e afferrarono Rakib con rudezza, pronti a trascinarlo fuori di lì e a espellerlo per sempre dal paese.
Il signor Koh scoppiò a ridere istericamente.
- Cosa pensi di aver ottenuto? - disse a Rakib con voce alterata, che non pareva più nemmeno la sua. - Credi davvero che il tuo sacrificio cambierà qualcosa? Non cambierà niente! Né tu, né quell’inglese, né altri potranno mai invertire l’ordine delle cose. Siete degli illusi. Solo degli illusi!
Mentre lo conducevano verso la porta, Rakib si girò verso colui che era stato il suo padrone e gli parlò finalmente da pari a pari. Da uomo a uomo.
- Per me le cose sono già cambiate - disse con voce ferma. - Fino a poco fa ero uno schiavo. Adesso invece sono libero.
Nota dell’autore
La vicenda del personaggio di Tom è liberamente ispirata agli assalti ai treni merci che, a partire dal 2021, hanno cominciato a interessare la città di Los Angeles. Se n’è occupato, fra gli altri, il “Los Angeles Times”, in un pezzo del 16 gennaio 2022 intitolato “‘It’s ugly out there’: Rail thefts leave tracks littered with pilfered packages”.
La vicenda del personaggio di Rakib è liberamente ispirata alla vicenda di Dhan Kumar Limbu, ex operaio dell’azienda malese ATA IMS, importante fornitrice di Dyson, multinazionale inglese che produce elettrodomestici, tra cui aspirapolvere ritenuti fra i migliori sul mercato. Nel 2021 Limbu, che all’epoca lavorava ancora per ATA, ha denunciato all’attivista inglese Andy Hall le difficili condizioni di lavoro nello stabilimento di Johor Bahru, nel sud della Malesia. In seguito alla sua denuncia, ha dichiarato Limbu, funzionari dell’ATA lo hanno condotto in una stazione di polizia, dove è stato interrogato e poi malmenato. Dopodiché Limbu ha lasciato la Malesia ed è tornato in Nepal, suo paese d’origine. Nel frattempo, le informazioni raccolte da Andy Hall hanno indotto Dyson a interrompere le relazioni commerciali con ATA, contro cui in Malesia è stata aperta un’inchiesta per violazione delle leggi sul lavoro. Per maggiori informazioni, si possono leggere due articoli pubblicati sulla vicenda dall’agenzia di stampa Reuters: “Dyson splits with Malaysia supplier, stoking concern over migrant worker treatment” del 6 dicembre 2021 e “Malaysia charges Dyson supplier ATA with labour law violations” dell’11 dicembre 2021.