Prima puntata di tre
Johor Bahru, Malesia
La quindicesima ora di lavoro, la domenica, era la più lenta a trascorrere. Rakib aveva la sensazione che non passasse mai. Prima di essere costretto ad abbandonare la scuola in Bangladesh, l’anno prima, per emigrare in Malesia in cerca di fortuna, aveva studiato che il tempo è un concetto relativo. Scorre più veloce in montagna che in pianura, e più da fermi che in movimento. Ecco perché, forse, dentro quella maledetta fabbrica il tempo non passava mai: lo stabilimento era sul livello del mare, e lui, lì dentro, non smetteva di muoversi un solo istante.
Producevano componenti per elettrodomestici di ogni genere, per conto delle maggiori multinazionali del mondo. Rakib, in particolare, lavorava alla catena di montaggio dove si assemblavano parti per aspirapolvere. Una cosa che a lui era sempre parsa beffarda, visto che lì dentro la polvere era ovunque, e da quando ci lavorava aveva preso a tossire brutalmente, ogni giorno di più.
Quando lo avevano assunto, nonostante fosse un clandestino senza alcun permesso di lavoro, Rakib si era considerato fortunato. Avrebbe guadagnato poco più di quanto gli sarebbe bastato per sopravvivere, certo, ma era un posto relativamente sicuro e in giro non c’era di meglio. Si sarebbe accontentato, aveva pensato. Avrebbe sopportato ogni fatica, stretto la cinghia e messo da parte il necessario per cambiare vita, prima o poi; e magari pure tornare a casa, in Bangladesh, a metter su famiglia e una qualche piccola attività tutta sua. Non avrebbe mai immaginato, però, che sarebbe stata così dura.
Le quindici ore di lavoro al giorno non erano l’eccezione, ma la regola, quando si avvicinavano le scadenze di consegna. E le scadenze di consegna c’erano ogni settimana. Stesso discorso valeva per il lavoro nei giorni festivi. All’inizio gli avevano detto che lo avrebbero pagato il doppio, ma poi, con la scusa della crisi, gli avevano sempre dato a malapena la paga ordinaria. O quella o andarsene, lo avevano minacciato. Ma andarsene dove? E così era rimasto.
- Rakib, più veloce! - latrò il caporeparto alle sue spalle.
Lui trasalì e alzò la mano in segno di scuse. Poi caricò sul rullo il pezzo che gli era rimasto in mano e ne prese un altro, per controllarne il corretto funzionamento, prima di rimettere sul rullo anche quello. Una sequenza di movimenti alienanti che ripeté identica per altri trenta, insopportabili minuti, fino a quando, finalmente, anche la quindicesima ora finì e lui fu libero di andarsene.
Libero, però, non era la parola giusta. La fabbrica lo inseguiva anche dopo la fine dell’orario di lavoro. Da lì a nove ore avrebbe dovuto riattaccare, per cui tempo per vivere, di fatto, non ne aveva. Solo quello per infilarsi dentro lo stabile fatiscente che il padrone metteva a disposizione degli operai nei pressi dello stabilimento, ammassandoli fino a sessanta per stanza. Lì avrebbe mangiato un po’ di cibo spazzatura, il solo che poteva permettersi, e poi sarebbe crollato sulla sua branda, senza prestare ascolto ai lamenti altrui e soprattutto a quelli del suo corpo, sempre più forti ogni giorno che passava.
Proprio mentre camminava sulla strada polverosa che conduceva allo stabile, un uomo bianco e alto si fece avanti e si rivolse a lui in inglese, chiedendogli se lo capiva.
- Sì - rispose Rakib a mezza voce, vincendo il timore che quell’incontro gli aveva d’istinto suscitato, nonostante lo sguardo apparentemente amichevole dell’uomo.
- Mi chiamo Andy. Sono un attivista. Faccio parte di un’organizzazione non governativa inglese. Raccogliamo informazioni sulle condizioni di lavoro nelle fabbriche del sud-est asiatico.
D’istinto Rakib si ritrasse. I capi gli avevano ordinato di tenere sempre la bocca chiusa su quello che succedeva dentro lo stabilimento. Quando si presentavano gli ispettori delle multinazionali per cui la fabbrica lavorava, gli operai avevano la precisa indicazione di dire loro che andava tutto bene. Se avessero detto la verità, le multinazionali avrebbero sospeso gli ordini e loro sarebbero rimasti senza lavoro, dall’oggi al domani.
- Non ho niente da dirti - disse Rakib, rimettendosi in cammino.
- Aspetta.
Rakib si voltò.
- Tieni.
L’uomo gli allungò un pezzo di carta.
- Lì c’è il mio numero. Se cambi idea, chiamami.
Rakib fu sul punto di restituirgli il biglietto, ma poi ci ripensò e se lo infilò in tasca.
- Le vostre condizioni di lavoro miglioreranno solo se parlate - gli disse l’uomo mentre Rakib già si riavviava. - Altrimenti non cambierà mai niente. Altrimenti resterete sempre degli schiavi!
Rakib era ormai lontano, ma quell’ultima parola lo colpì e gli fece male come se gliel’avessero urlata dentro l’orecchio.
Amarillo, Texas, Stati Uniti d’America
- Ci serve un aspirapolvere nuovo - disse Amanda.
Brad spostò lentamente lo sguardo dalla partita di football in televisione al volto della moglie.
- Un aspirapolvere nuovo?
- Sì, quello vecchio ormai funziona male. Guarda qui che roba...
Amanda indicò il parquet con un ampio gesto delle braccia. Brad spostò lentamente lo sguardo dal volto di lei al pavimento. Non vide nulla di strano.
- Cosa? - domandò.
- La polvere! Ho pulito ieri e ce n’è già a mucchi!
- Non esagerare, amore...
- Non esagero. Siamo persone civili, non possiamo vivere nella sporcizia!
Brad tornò a fissare il televisore. I Broncos segnarono in quel momento il loro sedicesimo punto, coi Cowboys sempre fermi a zero. Partita ormai compromessa, pensò con stizza.
- E invece esageri, ti dico. Sporcizia qui non ne vedo. Da Moe vedo sporcizia. Giù dal vecchio Spencer vedo sporcizia. Qui no.
Amanda sbuffò, rossa in viso.
- Fosse per te vivremmo come bestie! L’aspirapolvere nuovo ci serve e non si discute. Se lo compro su Amazon, arriva entro sabato.
Brad bevve l’ultimo sorso della sua birra. Ormai, a parlare anziché bere, si era fatta tiepida.
- E allora compralo e falla finita - disse, mentre si alzava dalla poltrona per andare a prenderne un’altra dal frigo.
- Costa ottocentonovantanove dollari.
A Brad quasi andò di traverso il sorso ghiacciato che aveva appena buttato giù dalla nuova lattina, con la porta del frigo ancora aperta.
- Ottocentonovantanove dollari? - ripeté a occhi sgranati, prima di pulirsi la bocca con la manica della camicia.
- È il modello senza fili migliore di tutti. “Il sistema di filtrazione a sei strati” - Amanda lesse dal suo smartphone - “trattiene il novantanove per cento delle particelle di dimensioni fino a zero virgola tre micron”.
- E che cazzo significa? - domandò Brad, nel frattempo tornato a sedersi, mentre il secondo quarto della partita terminava, sempre sul sedici a zero per i Broncos.
- Che in questa casa non vedremo più nemmeno un granello di polvere.
Brad chiuse gli occhi, cercando di vincere l’esasperazione.
- Amore, la polvere è sempre esistita e non ha mai ucciso nessuno.
- Non è vero! Provoca danni, solo che la gente non lo sa. Ma io mi sono informata. Asme, bronchiti, allergie. La polvere fa male. Che poi lo sai cos’è, la polvere?
Brad sospirò.
- No, Amanda. Cos’è la polvere?
- Insetti! Minuscoli insetti rivoltanti! Ho visto le foto, c’è da star male per lo schifo! E io non voglio che quei cosi mi camminino addosso, capito?
Brad, per nulla impressionato, decise di tagliare corto.
- Mi spiace, cara, ma costa troppo. Io faccio l’operaio, tu la commessa. Non ce lo possiamo permettere. Se dev’essere una spesa comune, prendine uno più economico. Altrimenti compratelo coi tuoi soldi.
Amanda tacque per un lungo istante, mentre il suo volto si faceva livido di rabbia.
- Sei solo un egoista, Brad! - proruppe infine. - I soldi per le birre e il football li trovi sempre! Quelli per noi mai! No all’aspirapolvere. No alle vacanze. No a una casa nuova anziché questo buco. Sono stufa, hai capito? Stufa!
Nella mente di Brad iniziò a suonare la sirena. Quando Amanda attaccava a quel modo, si poteva stare certi che si finiva per litigare. E poi magari se ne andava dalla madre, come l’ultima volta. Dopo era tornata, ma portandosi dietro pure lei, sua madre. E lui aveva dovuto sopportare la suocera in casa per una settimana. La peggior settimana della sua vita. Evitarne un’altra uguale li valeva tutti, quegli ottocentonovantanove dollari.
- E va bene, va bene! - disse mentre la partita ricominciava. - Compra quel maledetto affare e lasciami in pace.
Amanda passò in un istante dal furore alla gioia.
- Grazie, amore! - esclamò, mentre già armeggiava con lo smartphone per concludere l’acquisto online.
Brad bevve un altro sorso di birra, cercando di distendere i nervi. Non aveva motivo di rovinarsi il sabato. Magari i Cowboys avrebbero rimontato, pensò. E Amanda, dopo la partita, lo avrebbe ringraziato facendo quello che sapeva fare meglio. Sotto le lenzuola.
- Fatto! - disse lei, raggiante. - Arriva venerdì!
- Brava - rispose lui. - E adesso vieni qui a darmi un bacio.
Amanda obbedì e, mentre si baciavano, Brad nemmeno si accorse del touchdown con cui Teddy Bridgewater dei Broncos affossò definitivamente le speranze di rimonta dei Cowboys.
Fine della prima puntata
La seconda verrà pubblicata il 3 maggio 2022
Sa molto di reale nel senso vero per cui mi piace e attendo sviluppi 😃
Molto promettente! Aspetto con curiosità il prosieguo!