Il nuovo Einstein (5)
Una storia che sa di cunicoli spazio-temporali. Instabili
Quinta e ultima puntata
Anno 2097
Fu solo allora che Carlo riuscì a svegliarsi, madido di sudore, col cuore che batteva impazzito.
Era stato tutto un sogno. Solo un lungo sogno.
Deglutì e accese la luce, prendendo a fissare il soffitto.
Che sogno pazzesco, pensò. Un mirabolante viaggio nel tempo, perché almeno in sogno si potevano già fare. Non si era limitato ad approdare, come sempre, al 2058 del suo sogno ricorrente, a ritrovarsi di fronte al solito uomo senza volto. C’erano stati anche il 2113 e la Colombo-4000. Il 2121 e il laboratorio per aprire il wormhole temporale. Il 2221 e l’acqua calda al polo nord. Il 2122 e ancora il laboratorio. E poi di nuovo il 2058, di nuovo l’uomo senza volto, che stavolta un volto l’aveva avuto. Il suo.
Frastornato e incapace di calmarsi, Carlo si alzò dal letto e raggiunse il bagno a passo incerto. Si sciacquò la faccia e bevve un po’ d’acqua. Fresca, almeno quella. Poi si guardò lungamente allo specchio.
L’uomo senza volto gli era apparso realmente, nel 2058, fuori dalla villetta al Vomero, prima che lui iniziasse a sognarlo per il resto della sua vita. E gli aveva detto realmente quelle parole.
“Non dovrai mai permettere il viaggio”.
Poi lui, dopo quell’incontro, aveva dimenticato il suo volto, e quei lineamenti non gli erano mai riapparsi nemmeno in sogno. Fino a quella notte, quando l’uomo senza volto aveva assunto le sembianze di se stesso.
Carlo fu scosso da un brivido.
Ora che gli pareva di ricordarsi finalmente qualcosa in più di quell’incontro, si rammentò che l’uomo senza volto gli aveva effettivamente dato una certa impressione di familiarità. Forse perché gli aveva ricordato se stesso. Un se stesso ormai vecchio, perché l’uomo senza volto, adesso lo sapeva, era un vecchio. Un vecchio di almeno settant’anni, forse di più. Come poteva essere il se stesso del 2122.
Carlo si accorse di avere di nuovo la gola secca. Distolse lo sguardo dallo specchio e bevve ancora, prima di tornare a guardarsi dritto negli occhi.
Forse nel 2058 aveva davvero incontrato il se stesso settantenne. Il se stesso che viaggiava nel tempo. Il se stesso che sapeva come sarebbe andata a finire ed era tornato da lui per metterlo in guardia. Per dirgli quelle parole.
“Non dovrai mai permettere il viaggio”.
Il giorno seguente, la sala conferenze dell’agenzia spaziale internazionale si ritrovò gremita da centinaia di persone ansiose di sentir parlare il nuovo Einstein, l’italiano geniale, al secolo Carlo Invernizzi. Quel giorno, in diretta mondiale, il luminare avrebbe annunciato che dalla Terra l’umanità avrebbe finalmente potuto andarsene. Che il viaggio interstellare era possibile. Che Algoran era raggiungibile. Che non si sarebbero estinti. Che erano salvi.
Quando Carlo entrò nella sala, il brusio svanì di colpo e il silenzio calò assoluto. I presenti poterono udire chiaramente i suoi passi avvicinarsi alla postazione da cui avrebbe parlato. La raggiunse, prese posto, si avvicinò al microfono e parlò.
- Buongiorno a voi che siete accorsi qui così numerosi. E buongiorno a tutti coloro che sono collegati in diretta. So che avete molte aspettative rispetto a quanto sto per dirvi. E so che purtroppo rimarrete delusi.
Davanti a sé, dopo aver iniziato un discorso che non aveva concordato con nessuno, nemmeno con i più stretti collaboratori, Carlo vide i volti di tutti contrarsi in una smorfia di incredulità.
- Sarò breve e diretto. Il viaggio interstellare non è possibile.
Quell’annuncio ferale, così diverso da quello atteso, fu seguito da un brusio concitato. Alcuni si misero a urlare. Un paio di donne svennero.
- Non ci sono le condizioni per proseguire. Andremmo incontro a un fallimento certo. Come scienziato responsabile del progetto, preferisco fermarmi subito, prima di alimentare ulteriori illusioni. Prima di causare danni irrimediabili.
Il brusio si tramutò in trambusto, che Carlo provò a soverchiare alzando il tono di voce.
- Prima di lasciarvi, permettetemi di aggiungere una riflessione. Forse non risulterà propriamente scientifica, ne sono consapevole, e vi chiedo anticipatamente perdono.
Nella sala tornò a regnare qualcosa di simile al silenzio. Non più quello riverente di poco prima, ma un silenzio irrequieto, stralunato.
- La salvezza non passa necessariamente dai viaggi interstellari.
Gli occhi degli astanti si fecero più grandi.
- La salvezza può passare anche dalla capacità di sognare.
Quelle parole suonarono incomprensibili a tutti.
- Sognare un’umanità diversa. Più matura. Al punto di essere pronta anche a scomparire, se questo è il nostro destino ineluttabile. Sognare un’umanità dignitosa di fronte al suo epilogo.
La delusione, atroce, deformò nuovamente la faccia dei presenti, ormai convinti che il nuovo Einstein fosse diventato pazzo, come il peggior scienziato da operetta.
- Ci prende in giro, professor Invernizzi? - gridò un uomo, dalle prime file.
Carlo lo fissò a lungo, prima di rispondergli.
- Assolutamente no. Sono molto serio.
- E allora perché ci parla di sogni? - insisté l’uomo. - Cosa c’entrano i sogni?
- I sogni sono importanti, amico mio. Forse sono la cosa più importante. In fondo, che cos’è la realtà, se non un sogno a occhi aperti destinato a svanire?