Il nuovo Einstein (1)
Una storia che sa di cunicoli spazio-temporali. Instabili
Prima puntata di cinque
Anno 2097
Era stanco. Molto stanco. Spense il computer, uscì dallo studio ed entrò in camera da letto. Guardò l’ora: già mezzanotte. Si coricò, spense la luce e chiuse gli occhi.
Aveva bisogno di dormire. L’indomani era il gran giorno, e doveva arrivarci riposato. L’umanità contava su di lui, lo scienziato più illustre e famoso del mondo. Il nuovo Einstein: così lo avevano soprannominato. Ma lui non sapeva se esserne lusingato, perché era evidente che quell’appellativo derivava più che altro dalla disperazione. Dal disperato bisogno di trovare qualcuno che li salvasse dal calore. Da un pianeta impazzito che ormai era diventato quasi completamente inabitabile.
E lui, dopo aver lavorato per vent’anni sopra il circolo polare artico, in una delle poche zone della Terra rimaste vivibili, chiuso dentro alla cittadella che ospitava l’agenzia spaziale internazionale, l’unica istituzione mondiale che ancora funzionava ed era dotata di personale all’altezza e finanziamenti adeguati, lui, il nuovo Einstein, l’italiano geniale, al secolo Carlo Invernizzi, lui non li avrebbe delusi. Il giorno dopo avrebbe annunciato a ciò che restava dell’umanità, poco più di cinquecento milioni d’individui affamati e impoveriti, che dalla Terra avrebbero finalmente potuto andarsene. Il viaggio interstellare, adesso, era possibile.
Carlo lavorava sui cosiddetti wormhole, i cunicoli spazio-temporali, fin dai primi anni Settanta, quando era un semplice ricercatore universitario. Erano sempre stati la sua ossessione. Proprio Einstein li aveva teorizzati già nel lontano 1935, ma poi, per oltre un secolo, erano sempre rimasti soltanto uno spunto per racconti fantascientifici più o meno avvincenti. Ma lui, che di fantascienza era stato un lettore vorace sin da piccolo, da quando a dieci anni aveva letto “Paria dei cieli” di Isaac Asimov, era sempre stato convinto, a differenza di pressoché tutti i colleghi, che passare dalla teoria alla pratica fosse possibile. Viaggiare nel tempo attraverso i wormhole? Forse. Nello spazio? Sicuramente. Il punto era solo riuscire a creare, grazie ad acceleratori potentissimi, il guscio sferico di materia esotica, ovvero non convenzionale, capace di tenere aperto il cunicolo. E ora, finalmente, dopo vent’anni di esperimenti, ce l’aveva fatta.
Il tipo di cunicolo che aveva aperto non era abbastanza potente da permettere la connessione del loro universo con altri paralleli, o tra momenti diversi dello stesso universo, per lo meno non ancora. I viaggi nel tempo, quindi, dovevano essere nuovamente rimandati. Permetteva già, tuttavia, di connettere posizioni diverse e lontanissime dello stesso universo, viaggiando tra esse in tempi infinitamente minori rispetto a quelli che sarebbero stati necessari senza il cunicolo. Il viaggio interstellare, a quel punto, non era più una chimera. Algoran, il pianeta abitabile più prossimo alla Terra, distante solo dieci anni luce, il pianeta scoperto ormai da oltre mezzo secolo e che tutti i dati disponibili descrivevano come una sorta di meraviglioso e incontaminato giardino dell’Eden, non era più irraggiungibile. Il nuovo mondo poteva essere finalmente colonizzato.
Prima vi sarebbero approdate, attraverso il wormhole, le missioni esploratrici, poi sarebbe stata la volta delle missioni costruttrici. Dopodiché, forse già entro un decennio, sarebbero iniziati i primi trasferimenti di popolazione. Se tutto andava secondo i piani, entro il 2150, probabilmente anche prima, l’intera umanità si sarebbe trovata ad abitare lì, su Algoran, dando per sempre addio alla Terra, genitrice degenerata.
A quel pensiero, Carlo trovò finalmente la tranquillità necessaria per addormentarsi. Appena prima che il sonno lo vincesse, sperò che almeno per quella notte il solito sogno ricorrente gli desse tregua e non tornasse a tormentarlo.
Anno 2058
Mattina presto.
Primavera.
Il sole è già caldo.
Troppo caldo.
Carlo ha dieci anni.
Maglietta e calzoncini, passo svelto, sta uscendo di casa, una villetta del quartiere Vomero, a Napoli.
I genitori appartengono a famiglie borghesi decadute che ancora vogliono credere a un futuro di opportuna disuguaglianza, loro sopra e il popolo sotto, mentre tutto fa chiaramente presagire un devastante livellamento verso il basso dell’umanità intera.
Carlo, in ogni caso, non può capire niente di tutto questo, e non se ne preoccupa. Sta andando a scuola e in mano tiene il romanzo che ha preso in prestito il giorno prima in biblioteca, su consiglio della maestra: “Paria dei cieli” di Asimov. A lui la fantascienza piace e lei, la maestra, gli ha consigliato quella lettura. L’ha iniziata la sera prima e già ne è entusiasta. Adesso non vede l’ora di arrivare in classe per mostrarle che ha preso il libro e per vederla sorridere. Perché a lui la maestra piace, quando sorride.
È a quel punto, dopo che Carlo ha mosso solo pochi passi fuori dal cancello della villetta, diretto alla fermata dello scuolabus, che l’uomo senza volto sbuca dal nulla e gli si para davanti.
L’uomo senza volto, in realtà, un volto ce l’ha, e Carlo lo vede. Ma non lo ricorda. Già dopo il primo incontro, avvenuto nella realtà e non in sogno, non è mai riuscito a ricordarselo. Come non ricorda nemmeno il resto. Com’era vestito, che tono di voce aveva. Ricorda solo le sue parole. Quelle che sta per dirgli.
L’uomo senza volto si avvicina, a passo lento.
Carlo, fermo ad attenderlo, non si spaventa. C’è qualcosa, anche se non capisce bene cosa, che gli rende familiare quella figura. Qualcosa che gli suggerisce di stare tranquillo, perché quell’uomo non si sta avvicinando per fargli del male.
L’uomo senza volto, adesso, è davanti a lui. S’inginocchia, per incrociare bene lo sguardo di Carlo. Forse gli sorride. E poi gli parla, con quel tono di voce che lui non ricorda. E gli dice quelle parole. Quelle no, non ha mai potuto dimenticarle.
- Non dovrai mai permettere il viaggio.
L’uomo senza volto se ne resta per un lungo istante in silenzio, a fissarlo, prima di parlare di nuovo.
- Hai capito cosa ho detto? - gli chiede.
Carlo fa di sì con la testa, anche se in realtà non ha capito nulla.
- Allora ripetilo - gli chiede l’uomo senza volto. - È importante - aggiunge. - È la cosa più importante di tutte.
- Non dovrò mai permettere il viaggio - ripete Carlo.
Adesso è l’uomo senza volto ad annuire, soddisfatto.
- Mai - gli ribadisce. - Mai e poi mai.
Carlo continua a fissare quella faccia che non riesce a ricordare, e la vede sollevarsi. L’uomo senza volto, di nuovo in piedi, gli fa un cenno con la mano, una specie di saluto. Poi si volta e se ne va, prossimo a sparire nello stesso nulla da cui è sbucato. Per sempre. Come sempre. Come quella prima volta nella realtà. E come tutte le altre in sogno.
Ma stavolta Carlo non ci sta. Stavolta vuole cambiare quel finale deludente. Non vuole che l’uomo senza volto se ne vada. Vuole che si fermi. Che gli spieghi meglio. Che gli faccia capire, una buona volta, cosa significano, quelle parole enigmatiche. E così decide di fare una cosa che non ha mai fatto.
Lo chiama.
Lo chiama per nome, anche se non ricorda quale.
Lo chiama per nome e l’uomo senza volto si arresta di colpo.
Poi, dopo un lungo istante, si gira.
Stavolta, finalmente, un volto ce l’ha.
Quando lo vede e lo riconosce, Carlo sbarra gli occhi e inizia a urlare.
Fine della prima puntata
La seconda verrà pubblicata il 16 novembre 2021