Il nuovo Einstein (3)
Una storia che sa di cunicoli spazio-temporali. Instabili
Terza puntata di cinque
Anno 2121
Carlo avviò l’acceleratore ed espirò la tensione. Quella sarebbe stata la volta buona. Lo sentiva.
L’ultima volta che ci aveva provato, una settimana prima, nella solitudine del suo laboratorio, era riuscito a conferire alla materia esotica una densità energetica negativa mai ottenuta prima. Tale da permettere di viaggiare non più solo nello spazio, ma anche nel tempo. Poi, a causa del setting errato, il guscio sferico era collassato immediatamente e il cunicolo si era chiuso senza che lui avesse avuto nemmeno il tempo di guardarci attraverso.
Stavolta, però, non sarebbe andata così. Stavolta aveva regolato bene il setting e il cunicolo sarebbe rimasto aperto. Il tempo necessario per entrare al suo interno e viaggiare, andata e ritorno. Nel futuro, perché per il viaggio indietro nel tempo, purtroppo, occorreva che la materia esotica raggiungesse una densità energetica negativa ancora maggiore. Ma era solo questione di poco, ormai, e sarebbe finalmente riuscito a viaggiare anche nel passato, rimediando così al suo tragico errore. Perseverare, per non sbagliare più. La strada era segnata. Solo per lui, stavolta. Per lui e per nessun altro.
L’acceleratore era entrato in funzione correttamente. Il guscio stava per prendere forma. La più grande conquista scientifica della storia umana stava per realizzarsi nel silenzio più totale. Il silenzio di quel laboratorio e dell’unica persona che di quella conquista sarebbe stata spettatrice. Non lo chiamavano più il nuovo Einstein, ormai, perché, dopo la tragedia della Colombo-4000, lui di Einstein non era più all’altezza. Adesso era semplicemente, e molto più modestamente, Carlo Invernizzi. L’uomo che aveva promesso di salvare la propria specie dall’estinzione e non era stato capace di mantenere.
Il guscio era ormai quasi completamente formato e presto il cunicolo si sarebbe aperto, dandogli accesso al futuro. Dopo la tragedia della Colombo-4000, nemmeno Carlo avrebbe scommesso sul raggiungimento di un simile risultato. A seguito di quell’immane disastro, il progetto Algoran era stato bruscamente sospeso. Si era presto appurato, infatti, che far passare le astronavi dal wormhole non sarebbe mai stato possibile: era la stessa presenza a bordo di un numero consistente di esseri umani ad intaccare inevitabilmente la densità energetica negativa della materia esotica, causando il collasso del guscio. Avrebbero potuto provare decine di volte, e per decine di volte i passeggeri avrebbero sempre fatto l’orrenda fine dei diecimila che viaggiavano sulla Colombo-4000. L’opinione pubblica aveva di colpo dovuto rinunciare all’idea che la salvezza dell’umanità sarebbe arrivata dai viaggi interstellari.
A quel punto, allo spirito di collaborazione cementato dalla comune speranza in un avvenire migliore era subentrato un sentimento di scoramento e sfiducia che aveva progressivamente spinto verso una guerra di tutti contro tutti, precipitando il mezzo miliardo scarso di esseri umani ancora viventi in un inferno fatto di sangue e violenza.
Erano poche le oasi di pace che ancora resistevano dietro mura alte e ben difese, al di sopra del circolo polare artico. Una di queste era la cittadella dell’agenzia spaziale internazionale, rimasta in vita grazie ai finanziamenti dei super ricchi. I quali non avevano mai rinunciato all’idea che lasciare il pianeta fosse possibile, se non per tutti, almeno per chi aveva i soldi necessari per permettersi di viaggiare sulle piccole navicelle in grado di attraversare il wormhole. Per questo si erano rivolti a Carlo proprio mentre tutti, dopo la tragedia della Colombo-4000, avevano preso a infamarlo. Lui, dal canto suo, aveva deciso di rassegnare immediatamente le proprie dimissioni, intenzionato a porre fine per sempre alla sua carriera di scienziato. I super ricchi avevano provato a fargli cambiare idea in tutti i modi, perché Carlo Invernizzi restava l’unico individuo che potesse coordinare le attività necessarie a realizzare il loro progetto di fuga dalla Terra per pochi intimi. All’inizio lui aveva rifiutato, ovviamente: la sua scienza non sarebbe mai stata al servizio di pochi privilegiati. Poi, però, aveva capito che quella poteva essere l’unica possibilità di rimediare al suo fatale errore: non aver dato retta all’uomo senza volto e aver permesso il viaggio. A quel punto, per non sbagliare più, doveva paradossalmente perseverare: per non viaggiare più, viaggiare ancora. E così alla fine aveva accettato.
Ufficialmente lavorava al coordinamento dei viaggi effettuati dalle navicelle, che da tempo partivano per Algoran trasportandovi un centinaio di super ricchi all’anno, con equipaggi composti al massimo da una decina d’individui, i quali, stando a quel che si apprendeva, si stavano perfettamente ambientando nel nuovo mondo, prosperandovi a dispetto di chi, la maggioranza degli umani, continuava a morire di fame, guerra o malattie sulla Terra. Non ufficialmente, invece, e in totale solitudine, Carlo lavorava all’unico progetto che per lui ancora aveva un senso: quello dei viaggi nel tempo.
Il cunicolo finalmente si aprì. Il battito cardiaco di Carlo accelerò e lui, a passo veloce, scese la scaletta che lo condusse dinanzi al varco. Premette il bottone e lo aprì. Un altro passo e sarebbe entrato nel futuro. Anche se un futuro, probabilmente, non c’era più.
Anno 2221
Aveva regolato il setting in modo da essere catapultato esattamente a un secolo dopo, in quello stesso punto del globo.
Gli studi avevano portato Carlo a stabilire alcune leggi in merito alle possibilità dell’organismo umano di viaggiare nel tempo. Nessun individuo avrebbe mai potuto farlo per più di una volta in ciascuna direzione: un solo viaggio nel futuro e uno solo nel passato. E per non più di qualche minuto: forse si poteva resistere fino a dieci ma, per precauzione, era meglio non andare oltre i cinque. Se si fossero infrante tali regole, il decadimento cellulare dovuto al viaggio avrebbe fatalmente condotto alla morte.
Di per sé, il futuro a Carlo non interessava granché, ma era l’unica direzione temporale nella quale, per il momento, potesse viaggiare. Aveva quindi deciso di approfittarne per soddisfare la sua curiosità scientifica e provare ad avere la triste conferma che la Terra, già entro un secolo, sarebbe cambiata climaticamente in modo tanto radicale da non poter ospitare più alcuna forma di vita umana. Per questo aveva scelto di restare al polo nord: se nemmeno lì ve ne fosse stata più traccia, avrebbe avuto la certezza della sua scomparsa anche dal resto del pianeta.
Si ritrovò immerso in un mare apparentemente infinito, senza poter vedere altro che quello. Solo e soltanto acqua. Calda. Per quanto si trovasse oltre il circolo polare artico, la temperatura di quel mare doveva essere pari ad almeno venticinque gradi. E quella dell’aria, un’aria densa e appiccicosa, ai limiti del respirabile, ad almeno una ventina in più.
Eppure Carlo fu attraversato da brividi gelidi. Dapprima al pensiero di ciò che doveva essere diventata la Terra, molto più inospitale di quanto avrebbe creduto. E poi alla vista di ciò che all’improvviso vide affiorare a pelo d’acqua. Pinne. A decine. Squali affamati che molto probabilmente non avevano mai assaggiato carne umana, e ora volevano togliersi lo sfizio.
Proprio quando il più vicino di loro fu sul punto di serrare su di lui l’enorme mascella, i cinque minuti scoccarono e Carlo si ritrovò di nuovo nel suo laboratorio, sulla soglia del wormhole, fradicio e ansimante.
Missione compiuta.
Per l’umanità non c’era futuro.
Per lui, invece, sì. Per lo meno ancora un brandello.
Fine della terza puntata
La quarta verrà pubblicata il 27 novembre 2021