Gli occhi del leopardo (5)
Una storia che sa di fotogiornalismo, guerriglia e popoli della foresta
Quinta e ultima puntata
Epilogo
Il giorno seguente, prima che io e la guida lasciassimo il villaggio dei vedda per tornare alla jeep e attendere i soccorsi, il capo clan volle farmi un dono. Mi consegnò un piatto di ceramica dipinto con meravigliose immagini dai colori vivaci, floreali. Mi disse che quel piatto era molto antico, e che i capi del loro clan se lo tramandavano dall’uno all’altro fin da quando, nella notte dei tempi, Maha Loku Kiriammaleththo, la Grande Madre, aveva generato la progenie da cui tutti i vedda discendevano. Lo accettai commosso e lo abbracciai. Poi ci dicemmo addio.
Fu durante il tragitto verso la jeep che finalmente, quando ormai non ci speravo più, vidi il leopardo. Apparve di fronte a me all’improvviso, a una cinquantina di metri. Sbucato dal nulla, si fermò maestoso a fissarmi coi suoi occhi gialli, enormi, dai quali non traspariva paura né minaccia, ma solo un coraggio straordinario, sconfinato. Il leopardo si mostra solo a chi lo sa vedere, aveva detto il capo clan. Ora, evidentemente, sapevo farlo. Rimanemmo a guardarci per un istante eterno, durante il quale l’ultima cosa a cui pensai fu di imbracciare la macchina fotografica. Non serviva catturare quegli occhi con l’obiettivo, perché capii che mi sarebbero rimasti impressi nella mente per sempre. Poi il felino, con un balzo, sparì dalla mia vista.
In aeroporto, durante i controlli di rito, gli addetti alla sicurezza videro il piatto che mi aveva regalato il capo clan e s’insospettirono. Vollero sapere dove e come me lo fossi procurato. Spiegai loro ogni dettaglio, ma non mi credettero e m’invitarono rudemente a seguirli.
Mi fecero sedere nel loro ufficio e chiamarono la polizia. Rispiegai anche ai poliziotti l’intera storia, ma non mi credettero nemmeno loro. Mi dissero invece che, se non raccontavo la verità, rischiavo di finire in carcere per sottrazione e trasporto non autorizzato di cose preziose.
Fu solo quando giunse sul posto un esperto d’arte e cultura vedda, cui raccontai nuovamente com’erano andate le cose, che finalmente fui creduto. L’esperto disse ai poliziotti che quel piatto era un oggetto molto antico e molto raro, dal valore inestimabile, e che il mio racconto era plausibile, perché i vedda erano un popolo dalla generosità proverbiale, per il quale contava più santificare un’amicizia che legarsi a un oggetto materiale. I poliziotti confabularono tra loro e alla fine mi dissero che, in cambio di un adeguato risarcimento per tutto il disturbo, ero libero di andarmene. Il piatto, però, l’avrebbero tenuto loro, perché, dissero, lo Sri Lanka non poteva permettersi di perdere un oggetto tanto prezioso. Stavano perdendo un intero popolo, ribattei sdegnato, e si preoccupavano di un loro piatto. Ma loro non capirono, o finsero di non capire, e io li abbandonai alla loro ignoranza.
Dopo il viaggio
Il conflitto armato tra il governo dello Sri Lanka e le Tigri tamil è cessato solo nel 2009, provocando oltre centomila morti, buona parte dei quali minorenni. Oggi i tamil restano una minoranza ancora sensibilmente discriminata. D’altra parte, su tutta l’isola povertà e disuguaglianze si sono ulteriormente acuite, mentre il governo, vittima della sua stessa fiducia cieca nel capitalismo selvaggio, ha dichiarato default nel 2022, costringendosi ad accettare un prestito ingente dal Fondo Monetario Internazionale, in cambio di riforme destinate a renderlo ancora più selvaggio.
Mentre povertà e disuguaglianze aumentavano, in Sri Lanka si riduceva drasticamente la percentuale di superficie forestale, passata dall’80% di fine Ottocento al 25% attuale: il Paese è oggi al quarto posto nel mondo per tasso di distruzione delle foreste primarie. A farne le spese sono stati soprattutto il leopardo e i vedda.
Panthera pardus kotiya, ridotta oggi a una popolazione inferiore agli ottocento esemplari adulti, nel 2019 è stata inserita nella lista rossa dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, come specie vulnerabile.
I vedda non se la passano meglio. La popolazione conta oggi ancora mezzo milione di individui, ma la loro cultura attraversa un grave momento di crisi. Le richieste al governo di salvaguardare la loro unicità, e le loro foreste, sono rimaste per lo più inascoltate, e il risultato è stato un acuirsi del processo di assimilazione alla cultura dominante. I vedda si sono visti progressivamente espulsi dalle loro terre, lo stile di vita moderno è penetrato ampiamente nei loro villaggi e oggi la loro antica cultura rischia di sopravvivere soltanto come mera attrattiva per turisti.
Quanto a me, quel mio reportage dallo Sri Lanka riscosse un buon successo, ma fu anche l’ultimo. Abbandonai ben presto il fotogiornalismo, professione anch’essa ormai minacciata e a rischio di estinzione, per dedicarmi finalmente alla mia prima passione, la fotografia naturalistica, rimasta fra le poche a richiedere ancora una certa qualità. Oggi i miei lavori sugli endemismi insulari sono famosi in tutto il mondo. Ho trasmesso la passione per la fotografia anche a mia figlia Laura, nel frattempo diventata a sua volta una fotografa.
Ogni tanto, come ho fatto qui con voi, le racconto ancora di quel viaggio in Sri Lanka, durante il quale continuai a vederla nelle sue coetanee, e che mi diede il coraggio di riavvicinarmi a lei. E lei ogni volta mi chiede, anche se lo sa già, dove lo trovai, di preciso, quel coraggio. E io allora le parlo della fotografia più importante della mia vita, quella che non ho mai scattato: le parlo degli occhi del leopardo.
Co8involgentee molto interessante.
Interessantissimo!