Quarta e ultima puntata
Come un amico
Amici? Non ne hai più. L’ultimo che avevi, e che è stato anche il più grande, lo hai preso a pugni l’altro ieri.
Krist ti stava accompagnando all’aeroporto di Seattle. Avevi un volo per Los Angeles. Dovevi raggiungere la clinica dove ti eri finalmente deciso a entrare per disintossicarti. Ma durante il tragitto hai avuto una crisi d’astinenza. Gli hai urlato di tornare indietro e di portarti dal tuo spacciatore. Krist ti ha risposto di no, perché ha capito di avere ormai perso per sempre i Nirvana, ma non vuole perdere anche te.
Tu allora hai minacciato di gettarti dall’auto in corsa. Lui ha temuto che non scherzassi e ha fermato il mezzo, ma ti ha stretto subito la sua manona attorno al collo per non lasciarti fuggire. Col suo sguardo da gigante buono, ha cercato di farti ragionare. Ti ha parlato col cuore in mano. Ti ha detto che vuole tornare a vedere la luce nei tuoi occhi, perché quella luce gli manca da morire. Ti ha ricordato di quando scrivevate sui muri di Aberdeen, da ragazzini. Ti ha implorato di tornare quello di un tempo. L’amico di un tempo.
Tu hai fatto finta di ascoltarlo per un po’, a occhi chiusi. E poi gli hai tirato un pugno in faccia, dritto sul naso, con tutta la forza che avevi. Colto di sorpresa, Krist ha mollato la presa e tu sei scappato.
Adesso ti resta solo Boddah. Ma nemmeno con il tuo amico immaginario le cose sono più come un tempo. Non riesci a incolpare delle tue malefatte nemmeno lui, come facevi da bambino. La colpa di tutto riesci a darla solo e soltanto a te stesso. Te ne lasci schiacciare, mentre Boddah è lì immobile che ti guarda, con occhi più tristi dei tuoi. Non dice niente. Riesce solo a piangere.
Come un vecchio nemico
Mentre tu te ne stai buttato sul letto, inerte, il tuo nemico trama. Un nemico vecchio come la sfida che un giorno gli lanciasti. Un nemico di nome Avidità. Che si mostra con le fattezze d’un angelo dalle labbra truccate, più biondo di te.
Viene e ti scuote, ti dice di svegliarti, di rimetterti in piedi, di muoverti. Non gliene frega niente di come stai. Vuole solo che tu continui a essere una macchina da soldi. Ti dice che la vita costa, che le spese sono tante. Ti dice che devi rimpinguarti un po’ le tasche. Ti dice che ti hanno offerto sette milioni di dollari per partecipare al più importante festival americano di musica indipendente. Ti dice che devi accettare.
Tu però non ne vuoi sapere niente. Rispondi all’Avidità che ne hai le palle piene: non solo dei concerti, ma pure dei suoi capelli troppo biondi, delle sue labbra troppo truccate. La mandi a cagare e le fai sapere che se ti rimetterai in piedi sarà solo per liberarti di lei. Per sempre.
Ma l’Avidità è un mostro che non conosce tregua. Tu te ne stai lì sul letto, intontito, e lei continua a tramare. Stai attento, Kurt, perché stavolta sembra fare sul serio.
“Non c’è più tempo”, dice l’angelo biondo parlando a uno dei suoi, “il momento è arrivato. Tutto è pronto. Le parvenze sono salve. Vai da lui e sistemalo”.
Hai sentito, Kurt? Parlano di te. Sei in pericolo. Datti una mossa e vattene da lì.
Kurt, mi senti?
Kurt!
Come un vecchio ricordo
Ma tu sei perso nelle nebbie della tua mente e non puoi sentire. Ti concentri solo sulle piccole forme trasparenti che si muovono sulla membrana esterna dei tuoi occhi, sotto le palpebre. Le segui spostando la pupilla verso il basso. Sono molto rapide. Le segui ancora per un po’, poi ti sembra di vedere una scritta. Un vecchio ricordo.
I tuoi litigavano ogni sera, da ormai molto tempo. Di lì a poco avrebbero divorziato e tu avresti perso per sempre la serenità, cominciando a vergognarti di te stesso e a caricarti di colpe che non avevi.
Quella sera, in camera tua, suonasti la chitarra per un’ora di fila, per evitare di sentire le loro urla. Sempre lo stesso brano dei Beatles, senza interruzioni: “All you need is love”. Ma quando finalmente smettesti, con le mani che ti dolevano, sentisti affranto che loro erano ancora di sotto in soggiorno a vomitarsi addosso insulti.
Allora decidesti di prendere il tuo pennarello rosso e di scendere. Passasti accanto ai tuoi genitori e loro nemmeno se ne accorsero. Ti piazzasti di fronte alla parete bianca e iniziasti a scriverci sopra. Quando finisti, loro litigavano ancora. Tornasti in camera tua e dopo un po’, finalmente, ci fu silenzio. Avevano letto le tue parole. Quelle di un bambino che aveva smesso di sorridere.
“Mamma odia papà, papà odia mamma. Io odio loro, loro odiano me. Tutti odiano me. Sono così triste”.
3.
Come sarai domani
Sarai un cadavere, col volto sfigurato da un colpo di fucile.
Ma non sarai morto.
Sarai un uccello dal verso garrulo e gracchiante: reincarnazione del tuo impulso incontrollabile di urlare, della tua sindrome di Tourette.
Che altro potresti essere?
Conoscerai la verità.
Ogni mattina all’alba la griderai sbattendo le ali, con un’orrenda rabbia infernale.
Ci urlerai nelle orecchie di sanguinosi omicidi.
Che altro potresti dire?
Però noi, ahimè, non conosciamo la lingua degli uccelli.
Noi non capiremo.
Ma non per questo tu smetterai di urlare.
Continuerai.
Per sempre.
Che altro potresti fare?
Nota dell’autore
Il racconto “Come sarai domani” è ispirato alla vita di Kurt Cobain, cantante-chitarrista fondatore dei Nirvana, nato ad Aberdeen nel 1967 e morto a Seattle nel 1994.
I titoli dei paragrafi in cui il racconto è suddiviso sono tratti dalle strofe della canzone dei Nirvana “Come as you are”. Il titolo del racconto nonché dell’ultimo paragrafo, “Come sarai domani”, riprende una strofa che non è stata inserita da Cobain nella versione definitiva della canzone, ma è presente nella bozza del testo di “Come as you are” che il cantante-chitarrista ha scritto nei suoi diari: “Hai detto che io ti ricordo come sarai domani”.
Gran parte degli episodi narrati nel racconto sono ispirati a fatti realmente accaduti, come riferiti in uno o più dei seguenti testi: “Nevermind” di Richard Steep (1994), “Cobain - Articoli e recensioni da Rolling Stone” a cura di Holly George-Warren (1994), “Diari” di Kurt Cobain (2002), “Nirvana. Kill your friends. Testi commentati” di Gianluca Polverari e Andrea Prevignano (2008), “Il caso Cobain: indagine su un suicidio sospetto” di Episch Porzioni (2008).
Le frasi che nel racconto Kurt scrive sui sostegni di cemento del ponte di Aberdeen sono tratte dalle strofe di alcune canzoni dei Nirvana.
Agghiacciante.