Prima puntata di quattro
1.
Come sei
Hai quindici anni.
Due giorni fa sei stato al tuo primo concerto rock: Sammy Hagar, che figata. Hai fumato la tua prima canna, ti è piaciuto da matti e hai deciso che non resterai più senza.
Invece Aberdeen, la città grigia e piovosa dove vivi, in culo alla costa nord-occidentale degli Stati Uniti, ti piace molto meno. Anzi, ti fa proprio cagare. Un posto dove si lavora e si scopa, e il sollievo è l’alcolismo. Pieno, per usare le tue parole, di “boscaioli buzzurri masticatori di tabacco ammazzacervi sterminafinocchi che non ci vanno troppo per il sottile con i tipi strani”.
I tuoi insegnanti hanno riferito ai tuoi genitori che a scuola sei “irrequieto, annoiato e non collaborativo”. Ed è lì che ti trovi adesso, a scuola. Suona la campanella della ricreazione e tu scappi. Nei boschi lì vicino ti aspetta Trevor, lo spacciatore. Dallo zaino tiri fuori la bottiglia di whiskey che hai rubato giù alla vecchia taverna e gliela cedi in cambio di un grammo di marijuana. E lì, seduto sotto un albero, ti rolli una canna e pensi alla chitarra elettrica che ti hanno regalato l’anno scorso, per il tuo compleanno: pensi che imparerai a suonarla divinamente e che diventerai una rockstar.
Poi, dopo un tempo che non sei in grado di quantificare, ti alzi e torni a casa, da tua madre. Ma è troppo presto, dovresti ancora essere a scuola. Lei si accorge che sei fumato: ti prende a male parole e minaccia di sbatterti fuori, sulla strada. Da lei non ti aspetteresti questo, ma amore materno. Però è già da un po’ che, su questo fronte, tua madre ti ha deluso.
La pianti in asso e te ne vai al centro commerciale, dove il tuo amico Meyer sta per finire il suo turno da magazziniere. Esce, lo saluti con un cenno del capo e poi ve ne andate giù al bosco a fumare.
Meyer non è un pollo d’allevamento come gli altri ragazzi di Aberdeen: ha cervello, personalità, originalità. Meyer è gay.
Tu non sei gay, ma ti senti gay. Le ragazze guardano avide i tuoi capelli biondi e i tuoi occhi azzurri e ti ronzano attorno perché sei bello, ma di loro non te ne frega niente: per te sono tutte quante galline, aspiranti “pon pon” pettinate in modo orribile. Le odi, false e vuote come sono. Le lasci volentieri ai maschi alfa, quelli che prima ti schifavano perché ti credevano gay e poi hanno provato a fare amicizia con te perché tu piacevi alle ragazze: non ci sono riusciti e sono tornati a darti del frocio e a menarti duro.
Una ragazza che t’intriga, però, c’è. Si chiama Linda, è più grande di te e le teste di cazzo dicono che è ritardata solo perché non parla mai. Ti viene voglia di andare da lei. Saluti Meyer e vai a trovarla. L’erba ti sta dando coraggio e decidi che andrai fino in fondo, stavolta.
Suoni al suo campanello. Linda ti fa entrare in casa e ti offre una bibita e delle merendine. A un certo punto ti avvicini, le metti le mani sulle tette e le dici: - Scopiamo. Lei sorride, ti porta in camera sua e si spoglia. Tu provi a scoparla, ma sei fatto e sei vergine, e non ci riesci. L’odore del suo sesso e del suo sudore ti disgustano. Hai la nausea e ti viene da vomitare. Scappi via, vergognandoti come un cane.
Ti dai malato e ti rintani in casa per alcuni giorni, fino a che arriva a scuola il padre di Linda e ti accusa di averla violentata. Scoppia un casino e tu non puoi sopportarlo. Quella sera ti sbronzi e ti fai d’erba, poi vai a coricarti sul binario aspettando il treno delle undici per farla finita con tutto quanto. Ma hai sbagliato binario e il treno ti passa accanto.
Lo spavento ti fa cambiare idea. Pensi di nuovo alla tua chitarra, ai miglioramenti che hai fatto negli ultimi tempi, e decidi che c’è ancora un motivo per continuare a vivere, fottendotene degli stronzi perbenisti.
Come eri
Eri un bambino sorridente.
Ti alzavi tutte le mattine felice di vivere un nuovo giorno. Ti appassionavi a tutto.
Avevi un amico immaginario, Boddah. Ci parlavi, ci giocavi. Per ore. Ogni giorno. Lo vedevi solo tu, ma chiedevi a tua madre di riservargli un posto a tavola e di servirlo regolarmente, la sera a cena. Gli davi pure la colpa delle tue malefatte. Chi ha fatto cadere il vaso cinese all’ingresso? Boddah. Chi ha fatto scappare il gatto? Boddah. Chi ha mangiato metà torta? Boddah.
Eri vivace. Troppo vivace. Un giorno lanciasti delle lattine riempite di terra alle volanti della polizia che passavano sotto casa e i tuoi genitori decisero di portarti dai medici per vedere cosa non andava. Ti diagnosticarono un disturbo da deficit di attenzione e iperattività. Mamma e papà provarono con diete ipoglicemiche, punizioni e castighi. Nulla da fare. E alla fine decisero per il Ritalin. Uno psicofarmaco. Ti sedarono.
La musica faceva parte del tuo mondo, già allora. Tua madre ti portava con lei a fare compere e tu cantavi per la gente che incontravate. In casa c’era una chitarra da quattro soldi e per il tuo settimo compleanno la zia ti regalò tre dischi dei Beatles. Fu subito amore al primo ascolto. Iniziasti a strimpellare di continuo le loro canzoni. Alle riunioni di famiglia davi piccoli concerti e i parenti ti dicevano bravo.
E tu sorridevi.
Come voglio che tu sia
Kurt?
Ehi, Kurt!
Smetti per un attimo di suonare quella chitarra e ascoltami bene. Riguarda il tuo futuro: come voglio che tu sia.
Voglio che non perdi l’entusiasmo.
Voglio che resti curioso.
Appassionato.
Emozionato.
Ironico.
Irriverente.
Critico.
Incazzato.
Vero.
Così.
Voglio che continui a sentirti gay.
Voglio che non ti senti in colpa.
Voglio che leggi.
Che scrivi.
Che canti.
Che suoni.
Che gridi.
Voglio che tu sia sporco nel suono e pulito nell’anima. Mai viceversa.
Voglio che non abbocchi all’amo.
Che non fai patti col diavolo.
Che il capitale lo inculi, non ti ci fai inculare.
Voglio che cammini sull’erba evitando la merda.
Che non ti fotti il cervello.
Voglio che distingui bene gli amici dai nemici.
Che ti levi di torno tutti gli stronzi succhiasangue.
Voglio che resti nessuno.
Che perdi, con metodo.
Voglio che resti acceso.
Che bruci, ma lentamente.
Voglio che vivi.
Fine della prima puntata
La seconda verrà pubblicata il 22 febbraio 2022