Un amore del bibliofilo (2)
Una storia che sa di Dostoevskij, Kafka, Bolaño, Celine, Joyce, Omero, Proust
Seconda e ultima puntata
La mattina che la rividi, su quel treno, stavo leggendo l’Odissea di Omero: una lettura che colpevolmente, nella mia vita da bibliofilo, non avevo ancora affrontato, per lo meno integralmente. Erano passati molti anni dall’ultima volta che l’avevo vista. Stavolta non potei fare a meno di notare che il tempo non aveva risparmiato nemmeno lei. Era invecchiata. Molto. Ma non aveva smesso di essere bella, a suo modo. Né di leggere. Aveva con sé Alla ricerca del tempo perduto di Proust. Il settimo volume, l’ultimo: Il tempo ritrovato. Vidi che ormai era arrivata in fondo anche a quello. Io non c’ero mai riuscito. Mi ero fermato a metà del secondo volume. Pur trovandola un’opera straordinaria in molti passaggi, quella mole mi aveva presto sopraffatto e avvilito, inducendomi infine a gettare la spugna: mi era parso un delitto dover dedicare a una sola opera lo stesso tempo in cui ne avrei lette almeno altre sette. Ma ora che sentivo anch’io di aver perduto quasi tutto il mio tempo, mi chiedevo se non fosse stato un errore, quello. Come tanti altri. Come il più grande di tutti, forse: non aver mai provato a parlare alla donna del treno. La sola donna della mia vita, senza che lei lo avesse mai nemmeno saputo. La guardai a lungo. Poi presi il coraggio a due mani e, con la sensazione netta, quasi certezza, che quella sarebbe stata la mia ultima possibilità, decisi di non lasciarmela sfuggire.
- Le è piaciuto?
Dopo un attimo di esitazione, lei sollevò lentamente lo sguardo dal libro e lo posò su di me. Sembrava sorpresa. Forse nemmeno più si ricordava di avermi mai visto. Di avermi sorriso, una volta. E ringraziato, un’altra. Tanto, troppo tempo prima.
- Intende il libro?
- Sì.
Ci pensò su qualche istante.
- Beh, non si dovrebbe giudicare un’opera prima di averla letta tutta, fino all’ultima parola.
Mi sentii arrossire. Non pensavo di esserne ancora capace.
- Ha ragione. Mi perdoni, era una domanda stupida.
Sorrise.
- Comunque, sì: mi è piaciuto. Era una lettura da fare, prima di morire.
Quella frase, così cupa, mi gettò nell’imbarazzo. Parlai di nuovo solo per uscirne.
- Io l’ho interrotta molto tempo fa. Ma mi piacerebbe riprenderla.
Sorrise ancora.
Poi calò di nuovo il silenzio. Quel silenzio che c’era sempre stato, fra noi. Ma stavolta lo sentii pesante. Insopportabile. Sentivo l’urgenza di recuperare il tempo perduto e dirle tutto quello che non le avevo mai detto.
- Si ricorda di me?
- Certo che mi ricordo. Lei è l’uomo del treno.
Ebbi un tuffo al cuore.
- L’uomo del treno?
- Sì, quello che si sedeva vicino a me. E, come me, leggeva. Sempre.
Il cuore mi batteva come impazzito. Nemmeno di quel battito accelerato mi credevo più capace.
- Allora mi notava?
- Certo che la notavo.
- Non l’avrei mai detto. Sa, sono più di trent’anni che io...
Non mi vennero le parole. Che io cosa? Cos’era, quella specie di legame che avevo cercato di costruire con lei? Come si poteva definire?
- Trent’anni che legge con me? - s’inserì lei nel mio silenzio esitante.
Già, forse era proprio quello il modo.
- Sì, diciamo così. Anche lei per me era la donna del treno.
Sorrise ancora una volta.
- Ho aspettato a lungo che si facesse avanti, sa? - mi disse con occhi che mi parvero di colpo farsi umidi. - Ma lei era esattamente uguale a me, in tutto: non lo avrebbe mai fatto. Bastava a se stesso. E, come me, aveva paura. Paura della relazione. Non è così?
Chinai il capo, affranto.
- Sì - dissi - è proprio così.
Il treno stava iniziando a rallentare. Tra poco sarebbe arrivato in stazione. Il capolinea.
- Ma adesso, come vede, finalmente l’ho fatto.
- Già - disse lei, senza nascondere un’evidente amarezza.
- Forse da oggi noi due potremmo... - rilanciai io, improvvisamente pieno di un’energia che non avevo mai avuto.
- No - m’interruppe. - È troppo tardi. Tre anni fa ho scoperto di avere un tumore. Ho lottato. Sembrava che ce la potessi fare. L’avevo quasi sconfitto. Ma pochi giorni fa i medici mi hanno detto che si è riformato. E che stavolta non c’è nulla da fare.
Le ultime parole mi arrivarono come ovattate. Lo stesso sferragliare del treno non era altro, ormai, che un semplice ronzio di sottofondo. Il cuore, dopo tanto battere, sembrò volersi fermare. Respiravo a fatica.
- Stamattina sono salita su questo treno - proseguì - nella speranza di rivederla l’ultima volta. Volevo salutare l’uomo del treno. Non a parole, s’intende. Non avrei mai sperato che riuscissimo a parlarci. Mi sarebbe bastato leggere un’ultima volta accanto a lei.
Fu a quel punto che iniziai a piangere. E lei con me.
Il treno si arrestò.
Scendemmo.
La gente ci passò accanto, andando di fretta, com’eravamo andati di fretta noi due, tante altre volte, in quello stesso posto, per trent’anni.
Alla fine, ci ritrovammo da soli.
Ci guardavamo negli occhi, ma non osavamo toccarci. Tristi e deboli com’eravamo, avremmo potuto anche romperci.
- Voglio rivederla ancora - le dissi. - Fino alla fine.
Lei scosse la testa.
- Meglio di no. Non sarebbe per niente letterario, sa? Sarebbe solo patetico.
Mi asciugai una lacrima.
- È un addio, quindi?
- Sì.
In quell’attimo l’altoparlante annunciò l’imminente partenza del treno che l’avrebbe riportata indietro, col suo nuovo carico di passeggeri, anche loro frettolosi, anche loro avviati sul binario che li avrebbe avvicinati un poco di più alla morte e al nulla.
Lei, senza dirmi altro, si voltò e vi montò sopra.
Attraverso i vetri la vidi prendere posto. Poi abbassò il finestrino e mi allungò il suo libro.
- Lo finisca lei.
Io spostai lo sguardo attonito da lei al libro, poi ancora su di lei. Infine accettai il dono, stringendolo forte fra le dita.
- Me lo promette? - mi chiese.
Il treno sbuffò, pronto a ripartire.
- Sì! - mi ritrovai quasi a gridare. - Lo finirò! Glielo prometto!
Il treno si mosse.
Iniziai a salutarla sventolando il libro.
Lei si fece sempre più piccola. Fino a scomparire, come fosse stata solo una visione.
Non seppi più nulla di lei, perché, in fondo, nulla di lei sapevo, al di fuori dei nostri incontri sul treno.
Ho terminato la lettura di Proust.
Da allora ho iniziato a scrivere.
E dedico tutti i miei romanzi a lei.
E i miei racconti, come questo.
Alla donna del treno.
Una dedica senza nome.
Perché non ho mai saputo nemmeno quello.
messo anche qui
https://www.labottegadelbarbieri.org/un-amore-del-bibliofilo/
Amarezza a profusione 🥺