Quarta e ultima puntata
15 maggio
Oggi nell’orto abbiamo piantato meloni, zucche, zucchine, cetrioli. Abbiamo ulteriormente esteso l’appezzamento coltivato, dissodando altro prato. Lisa dice che occuperemo anche la terra che non è nostra, se sarà necessario. Dice che dobbiamo seminare quanta più roba possibile. Dice che quest’estate essiccherà tutto quello che non mangeremo, e che i prodotti essiccati verranno buoni per l’inverno.
Ho ripetuto più volte, tra me e me, le parole estate e inverno. Mi sono venute in mente due forze potentissime, una del bene e una del male. Due guerrieri sul campo di battaglia.
18 maggio
Oggi mi è capitato per le mani il portafoglio. Dentro ci sono circa ottanta euro, ma io ho visto solo dei pezzi di carta colorata. E il mio bancomat: un pezzo di plastica. Anche denaro è diventata una parola vecchia, inutile, senza senso.
Ho guardato a lungo il mio volto, nella foto della carta d’identità. Poi mi sono guardato allo specchio. E mi sono chiesto chi dei due fosse l’estraneo. È stato a quel punto che ho deciso di tagliarmi barba e capelli, ormai lunghi a dismisura. Ho fatto un lavoro discreto. La lametta e la forbice, come il piano e la zappa, funzionano anche senza elettricità.
19 maggio
Per la prima volta da quando sono tornato dal paese, io e Lisa abbiamo fatto l’amore. Lo ha voluto lei. Il suo ventre era accogliente come il mondo prima che finisse.
22 maggio
Io e Lisa siamo stati a raccogliere asparagi, questa mattina. Ne abbiamo raccolti parecchi. Per un asparago che vedo io, Lisa ne vede dieci. Ha detto che li metterà nel riso.
Lisa ha detto anche che quest’autunno raccoglieremo i funghi. Saranno la nostra carne. Lei sa distinguere quelli buoni da quelli velenosi. Ha detto che m’insegnerà e che diventerò capace anch’io.
Autunno. Un altro guerriero. Sarà buono o cattivo?
26 maggio
Oggi, dopo essere stato nell’orto, ho suonato fino al tramonto. Le mie dita di lavoratore, adesso, producono un suono diverso. Sgraziato. Imperfetto. Vivo.
Ho suonato Bach. E ovviamente Sibelius.
Ormai suono solo per le piante.
2 giugno
È finito il gas nella bombola. Era l’ultima che avevamo. Adesso dovremo cucinare solo sul fuoco, nel camino.
Finiranno anche i fiammiferi, anche se per ora sembrano un’infinità. Sono corso alla libreria e ho cercato nell’enciclopedia. C’erano spiegati almeno quattro modi per accendere il fuoco senza fiammiferi.
Finirà anche la legna. Ma per fortuna il bosco, lì fuori, è grande. E io ho un’accetta.
4 giugno
Oggi abbiamo camminato fino al fiume.
Lungo la strada, ci siamo accorti della presenza di qualche vigna e di un meleto. I proprietari li devono aver curati fino a un paio di mesi fa. I germogli sono già spuntati. Lisa ha detto che ce ne occuperemo noi, d’ora in avanti.
Al fiume, ci siamo bagnati i piedi. L’acqua era gelida. Ci siamo sdraiati un po’ al sole per scaldarci. Poi Lisa, dopo essersi alzata ed essere rimasta per qualche minuto a fissare l’acqua trasparente, ha detto che nel fiume ci sono parecchi pesci e che verremo qui a pescare, prossimamente. Le ho risposto che non abbiamo canne da pesca. Mi ha detto che ce le procureremo.
Se le stagioni sono i guerrieri, Lisa è il generale.
5 giugno
Sono andato a pesca col nostro vicino di casa un paio di volte, nella mia vita precedente. Poi basta, perché pescare metteva a rischio le mie mani. La canna me la prestava lui. Il piano, oggi, era di raggiungere casa sua, a un chilometro e mezzo da qui verso il paese, provare a entrare e vedere se trovavo l’attrezzatura per pescare.
La prima cosa che ho trovato, però, è stata la batteria dell’auto scarica, dopo quasi un mese d’inutilizzo. D’ora in avanti potremo muoverci soltanto a piedi. Mi sono sorpreso a non disperarmi più di tanto. Forse perché la benzina era comunque poca e quindi già mi ero rassegnato all’idea. Forse perché il rumore di un motore non può far parte di questo nuovo mondo.
La seconda cosa che ho trovato, dopo aver camminato fino alla casa del mio vicino ed esservi penetrato dalla porta rimasta socchiusa, è stato il suo cadavere. E quello della moglie. Erano sdraiati sul letto, uno di fianco all’altra, abbracciati.
L’attrezzatura da pesca è stata la terza cosa che ho trovato.
7 giugno
Ieri sera, dopo cena, ci siamo seduti in veranda, a guardare la notte. A un certo punto, a Lisa è sembrato di vedere pulsare un bagliore, nel cielo. D’istinto, abbiamo pensato entrambi che fosse un aereo. Ma era solo una stella.
8 giugno
Oggi ho pescato la prima trota. Lisa l’ha cucinata sul fuoco. Era più buona di quelle che compravamo al supermercato.
9 giugno
Ieri sera, in veranda, mi è sembrato di udire una voce, in lontananza. Lisa si è messa in ascolto per un po’. E poi mi ha detto che era solo il fiume.
12 giugno
Stamattina Lisa si è alzata con una forte nausea. Io stavo bene, per cui ho escluso un’intossicazione alimentare. Ho frugato tra i farmaci che ho portato via dal paese e ho trovato un antistaminico. Gliel’ho dato ed è stata meglio.
13 giugno
Lisa si è alzata di nuovo con la nausea.
È andata in bagno, ha vomitato, poi è tornata a letto.
Le ho chiesto se stesse meglio.
E lei, piangendo, mi ha detto di essere incinta.
Sono sbiancato.
Le ho chiesto come fa a saperlo.
Mi ha detto che se lo sente. Lo sa.
E poi mi ha detto che non sapeva, invece, se stava piangendo più per la paura o più per la gioia.
15 giugno
La mattina, appena alzata, Lisa continua ad avere la nausea. Poi le passa e va nell’orto. È di buon umore, e la cosa mi sembra assurda.
Io invece sono frastornato, attonito. Un mese fa abbiamo finito i preservativi. E in paese, l’ultima volta, non ne ho trovati. È da un mese, appena un mese, che facciamo sesso non protetto. Non posso credere che Lisa sia rimasta incinta a quarant’anni, al primo colpo.
16 giugno
Oggi io e Lisa abbiamo parlato. Ero soprattutto io ad averne bisogno. Le ho scaraventato addosso tutti i miei dubbi. I rischi della gravidanza. Un parto senza ostetriche. Senza ospedali. Un’altra bocca da sfamare. L’inverno da superare. Un futuro senza certezze. Un mondo ostile.
Lisa mi ha lasciato sfogare, rimanendo in silenzio. E poi mi ha chiesto, semplicemente: “Abbiamo alternative?”.
Io ci ho riflettuto e alla fine ho detto di no. L’ho detto più a me stesso che a lei.
Poi mi sono messo a piangere. Prima in modo sommesso, poi sempre più forte. Abbracciato a lei, ho pianto per un’ora. Non riesco a ricordare da quanto tempo era che non piangevo.
Poi Lisa mi ha preso una mano e se l’è posata sul grembo. Era caldo, come le mie lacrime.
18 giugno
Adesso lavoro il doppio, nell’orto. E poi vado a pescare.
Lisa si riposa di più. Nell’enciclopedia, cerca alle voci “gravidanza”, “parto” e “svezzamento”.
20 giugno
Lisa mi ha detto che sarà una bambina.
Ho rinunciato subito a chiederle come fa a saperlo.
21 giugno
Oggi ha fatto un gran caldo. Il primo guerriero, quello buono, è arrivato. Combatte dalla nostra parte.
23 giugno
Stamattina, all’alba, mi sono svegliato di soprassalto, zuppo di sudore. Ho avuto un incubo. Tutti i morti del paese diventavano zombie e venivano a cercarci, assetati di carne umana. Emettevano dei versi gutturali, orribili.
Poi ho teso l’orecchio e ho sentito che c’erano solo gli uccellini, là fuori.
25 giugno
L’orto produce tantissimo.
I peperoni appena raccolti sono buoni anche crudi. Ma Lisa deve mangiarli cotti.
26 giugno
Oggi siamo stati al fiume. Abbiamo pescato due trote. Poi siamo entrati con i piedi nell’acqua. Era fredda, però si stava bene.
L’acqua corrente è una voce che ci parla in una lingua sconosciuta, che ci stiamo sforzando di comprendere.
27 giugno
Stamattina, appena alzati, Lisa mi ha chiesto di suonare. Era da qualche giorno che non toccavo il piano.
“Le piante crescono bene lo stesso”, le ho fatto notare.
“Non è per le piante”, mi ha detto lei, “è per nostra figlia”.
29 giugno
Nella nostra vita precedente, oggi ci saremmo sposati. E poi saremmo partiti per il nostro viaggio di nozze.
Non è andata così.
Il destino ha voluto diversamente.
Eppure oggi, appena rientrato in casa accaldato dopo aver lavorato nell’orto, ho guardato Lisa sorridermi nella penombra della cucina, mentre preparava il pranzo, e ho sentito di amarla come non l’ho mai amata prima. Come non l’avrei mai amata se oggi fosse andata come doveva andare. Senza il virus. Senza la catastrofe.
Non sappiamo cosa sarà di noi.
Forse non supereremo l’inverno. Forse moriremo di fame. O di freddo. O Lisa di parto. E io, a ruota, di suicidio. Forse moriremo di qualche banale malattia. Per qualche semplice caduta. O per qualche stupida ferita che farà infezione.
O forse no. Forse, un giorno, sentiremo qualcuno, a bordo di un’auto, o un camion, percorrere di gran carriera la sterrata qui fuori, avanzando verso di noi. Li vedremo scendere e avvicinarsi con fare ostile. Forse ci uccideranno per rubarci tutto quello che abbiamo. Forse prima violenteranno Lisa.
O forse no. Forse da quell’auto, o da quel camion, scenderanno dei militari, a dirci che il mondo esiste ancora, che il peggio è passato, che da qualche parte la civiltà è tornata a bruciare combustibili, a produrre energia, cibo, vestiti, medicinali, merci. E noi, felici come bambini, abbracceremo quei militari.
O forse no. Forse, in cuor nostro, ci rammaricheremo. Forse ci dispiacerà che questa vita naufraga, solitaria, spartana, autarchica, pericolosa, finisca per sempre.
Non lo sappiamo.
La sola cosa che sappiamo è che ci amiamo.
“Vuoi sposarmi?”, ho chiesto a Lisa dopo pranzo.
Per testimoni, le cicale.
Per anello, un filo d’erba.
E lei mi ha risposto di sì.
Nota dell’autore
Questo racconto è stato scritto tra il 14 e il 16 marzo 2020, mentre in Italia e nel mondo era da poco iniziata la pandemia causata dal virus SARS-CoV-2, tuttora in corso.
Mentre lo scriveva, chiuso in casa per seguire le raccomandazioni governative, l’autore si augurava di tutto cuore, naturalmente, che le cose andassero diversamente rispetto a quanto avviene nel racconto. Si augurava anche, tuttavia, che la pandemia, tra i tanti effetti negativi, ne avesse anche uno positivo, inducendo gli individui e le collettività a riflettere su ciò che si dà per scontato senza che lo sia, su ciò che si dà per buono senza domandarsi se lo sia davvero, sulle opportunità di ripensare e rivedere se stessi che tutte le crisi, anche le peggiori, soprattutto le peggiori, portano con sé. Dopo due anni, si può dire che non è andata così. Quella riflessione non c’è stata. Ma c’è sempre tempo per farla.
Evidenziamo, infine, il debito “spirituale” che il racconto ha nei confronti del romanzo “Nella foresta” di Jean Hegland, scritto nel 1996 e ancora straordinariamente attuale.