Strani incontri nel bosco (2)
Una storia che sa di silenzi irreali e domande spiazzanti
Seconda e ultima puntata
Avevo mosso solo qualche passo quando, di fronte a me, notai qualcuno. Una sagoma avanzava sul sentiero nella mia direzione, lentamente. Per un attimo pensai che fosse il bambino, ma poi capii che non poteva essere lui. A giudicare dal passo incerto e dalla postura ingobbita, doveva trattarsi di un individuo piuttosto anziano.
Arrivò al mio cospetto e in effetti era un vecchio, pallido ed emaciato. Mi pareva di averlo già visto, ma non ricordai dove.
- Buongiorno - lo salutai.
- Buongiorno - mi rispose con voce debole.
- Sa dirmi dove porta questo sentiero?
- Questo sentiero non porta da nessuna parte.
- Lo immaginavo - dissi deluso. - Mi sono proprio perso...
- La vita è fatta anche di smarrimenti, Carlo.
Sbarrai gli occhi.
- Ci conosciamo? - gli domandai.
- Beh, sì - disse lui, e si rimise in cammino.
Non mi restò che seguirlo.
- Cosa stai scrivendo in questo periodo? - mi chiese quando gli fui di fianco.
Di nuovo restai di sasso.
- Come sa che scrivo?
- Ti ho detto che ti conosco, no?
- Mi perdoni, ma proprio non ricordo: dove ci siamo conosciuti?
- Non ha importanza - disse.
Tacqui, incerto se proseguire quel dialogo improbabile o mandarlo al diavolo. Alla fine pensai che era meglio conversare. Tutto, pur di vincere il silenzio irreale che perdurava tutto attorno.
- Non sto scrivendo nulla, in questo periodo - dissi. - Sto pensando di farla finita con la scrittura. Non serve a niente.
- Capisco. Anch’io feci lo stesso errore.
- Lei scriveva?
- Sì.
- E cosa?
- Di tutto. Racconti, romanzi, reportage.
- Qual è il suo nome? Forse mi è capitato di leggere qualcosa di suo, in passato...
- Non ha importanza - disse. - Scrivevo senza usare l’anima. Scrivevo da mestierante. Pensavo di essere originale, ma ero come tutti gli altri, se non peggio. Pensavo di essere controcorrente, ma i miei scritti erano di un conformismo devastante. Ero un impostore. Quello che scrivevo era tutto falso. E sai perché?
- No - risposi. - Perché?
- Perché scrivevo di cose che non conoscevo.
Non risposi. Quella descritta dal vecchio era esattamente la situazione in cui mi sentivo io.
- Smisi di scrivere - proseguì - perché era la cosa più facile da fare. Smisi di scrivere perché iniziare a farlo in modo autentico mi avrebbe richiesto troppa fatica. Uno sforzo spaventoso.
Continuammo ad avanzare lentamente sul sentiero, in silenzio.
- E poi cosa fece? - domandai dopo un po’.
- Nulla. Mi lasciai vivere. Mi rinchiusi ancora di più in me stesso, trovando solo altra falsità. Divenni il metro e la misura di tutto, e tutto mi parve fuori misura, inadatto. Passai il resto della vita a soppesare i difetti altrui, e rimasi solo. E questo perché, in fondo, avevo paura.
- Paura degli altri?
- No, di me stesso. Dei miei limiti. Non ho mai saputo accettarli. Ho sempre rifiutato la relazione con gli altri per non vedere i miei, di difetti.
Riflettei su quanto il vecchio aveva appena detto. Ancora una volta, mi parve di trovarmi davanti a uno specchio.
- Temo che lo stesso possa accadere anche a me - dissi infine.
- Se non troverai il coraggio di affrontare te stesso, ti accadrà sicuramente.
Affrontare me stesso, pensai. Non l’avevo mai fatto.
- Grazie del consiglio - dissi.
Non ebbi risposta.
Mi guardai attorno e il vecchio non c’era più. Sparito anche lui nel nulla, come il bambino.
Frastornato, mi rimisi in cammino con la paradossale sensazione che quei due incontri non fossero mai avvenuti, ma che avrebbero cambiato per sempre la mia vita.
Fu dopo pochi passi, mentre ero immerso in quei pensieri, che all’improvviso mi si parò davanti l’orso.
Era proprio di fronte a me, a una distanza di quaranta o cinquanta metri. Mi fissava coi suoi occhi piccoli, immobile. Era grande, molto più grande di come immaginavo che fosse un orso.
Sapevo che c’erano gli orsi, in quei boschi. Ma non ne avevo mai visto uno.
Ci fissammo ancora per qualche istante, poi lui, di colpo, si alzò su due zampe, annusando forte l’aria.
Sapevo ciò che bisognava fare, in situazioni come quella. E lo feci.
Cominciai a indietreggiare piano, senza voltarmi, e mi misi a parlargli, a voce bassa, tranquilla.
- Non ho paura - gli dissi provando a convincermene. - Non devi averne nemmeno tu. Sono diverso da te, è vero. Ma, come te, vivo. O almeno ci provo.
L’orso tornò sulle quattro zampe. Poi, con pochi balzi incredibilmente lunghi e rapidi, sparì dalla mia vista.
Fu in quel momento che mi accorsi di essere tornato chissà come sul sentiero principale, e il silenzio irreale che sentivo da quando mi ero smarrito svanì, lasciando spazio ai consueti rumori del bosco, come se qualcuno avesse improvvisamente riattivato il volume del mondo.
Arrivai a casa a passo svelto, col fiatone.
Mi precipitai alla scrivania e iniziai a scrivere.
Scrissi quello che mi era appena capitato.
Non sapevo se era accaduto sul serio.
Sapevo solo che era vero.
Altro bello spin-off del Predatore... Tra un po' puoi farci un nuovo libro, di racconti... Pensaci, sarebbe un'ottima idea...
Siete (o sei) sempre originali, capaci di arrivare dritti alla mente e al cuore