Strani incontri nel bosco (1)
Una storia che sa di silenzi irreali e domande spiazzanti
Prima puntata di due
Camminavo nel bosco. Era un pomeriggio d’autunno, nuvoloso e piuttosto oscuro. Ero immerso nei miei pensieri, profondi come solo quelli pensati durante una passeggiata solitaria in un bosco sanno essere.
A un certo punto, mi accorsi di essermi smarrito. Era una cosa assai strana: erano i boschi attorno a casa mia, quelli, li conoscevo bene. Eppure non capivo più dove mi trovavo. Tutto mi appariva estraneo.
Continuai a camminare, pensando che prima o dopo quel sentiero secondario, imboccato chissà dove e chissà quando, mi avrebbe riportato sul principale.
Accelerando il passo, notai un’altra cosa strana: tutto attorno era silenzio. Eccezion fatta per il rumore delle foglie che calpestavo io, non udivo altro. Nessun fruscio, nessun verso, nessun’eco delle attività umane che si svolgevano a valle. Tutto taceva.
Scrollai le spalle, e mi dissi che probabilmente quello strano ero io. A forza di pensare troppo, come sempre avevo fatto, ero arrivato a metà della mia vita confuso e incerto, nostalgico di un passato dal quale affioravano più rimpianti che soddisfazioni, e preoccupato per un futuro nel quale intravvedevo solo declino e decadenza, mia, dei miei cari e dell’umanità tutta. In mezzo, un presente irriconoscibile e ovattato proprio come mi appariva ora quel bosco.
Fu a quel punto che alle mie spalle udii un ramo spezzarsi. Mi voltai e a una decina di metri vidi avanzare rapido, diretto verso di me, un bambino di nove o dieci anni. Pareva sbucato dal nulla, come un fantasma. In pochi passi mi raggiunse.
- Ciao - mi disse.
Mi ricordava qualcuno, ma non capii chi.
- Ciao - gli risposi.
- Finalmente ti ho raggiunto.
Aggrottai le sopracciglia.
- Ci conosciamo? - gli domandai.
- Beh, sì - rispose lui.
- Non ricordo di averti mai visto.
- Eppure io so chi sei. Ti chiami Carlo.
Rimasi sorpreso. In effetti mi chiamavo Carlo, ed era una delle poche certezze che avevo.
- Già. E tu come ti chiami? - gli domandai.
- Oh, non è importante - rispose.
Restammo in silenzio per qualche secondo.
- Sai dove porta questo sentiero? - gli chiesi. Visto che conosceva me, magari conosceva anche quei boschi.
- Non lo so - mi disse. - So solo da dove parte, ma non dove arriva.
- Ti sei perso anche tu, quindi?
- Diciamo così.
Restammo di nuovo in silenzio per qualche istante.
- Andiamo avanti, allora? - mi domandò.
Guardai da dove eravamo arrivati e poi di fronte a noi. Come al solito, mi ritrovai indeciso. Fu il bambino a muovere il primo passo, e a decidere per me.
Per un po’ camminammo affiancati senza parlare.
- Che classe fai? - gli chiesi tanto per conversare. L’irreale silenzio attorno a noi cominciava a pesarmi.
- La quinta elementare.
- E la scuola ti piace?
- Abbastanza.
- Tutte le materie?
- Matematica e scienze no.
Gli sorrisi.
- Nemmeno a me piacevano.
- Non le capivi?
- Le capivo fin troppo. E le trovavo noiose.
- La stessa cosa io. E come facevi?
- Non le studiavo. O meglio, anzi peggio: le studiavo solo per portare a casa un voto decente.
- Dovrei fare così anch’io, allora?
Ci pensai su.
- No. Non sai quante volte mi sono chiesto, molto tempo dopo aver terminato gli studi, se non fossero proprio le materie scientifiche quelle che avrei dovuto studiare di più: matematica, fisica, biologia. Ho sempre pensato che non facessero per me, mi ero convinto che ci fossero solo gli studi umanistici: italiano, storia, e così via. Volevo fare il giornalista, lo scrittore. Ci ho provato e non ho combinato granché. Forse è sempre stata solo una fissa, la mia. Mi ero innamorato dell’idea di scrivere e non ho voluto rinunciarci nemmeno quando mi fu evidente che non avevo alcun particolare talento. E oggi mi ritrovo a leggere con voracità testi scientifici di ogni genere, perché sento di avere delle lacune da colmare, e mi convinco sempre più che poteva proprio essere la mia strada... Ma ormai è tardi.
Di colpo, mi accorsi di aver parlato troppo e troppo difficile, come non si dovrebbe fare con un bambino. Temetti di averlo annoiato o peggio intimorito.
- Grazie del consiglio - mi disse invece lui, soddisfatto. Poi tacque.
- Ma com’è che mi conosci? - gli domandai. La sua compagnia mi piaceva. Era strano, ma mi piaceva.
- Andavi d’accordo, tu, coi tuoi genitori? - mi chiese senza rispondere alla mia domanda.
- Come?
- Andavi d’accordo coi tuoi genitori? Io quando litigano non li sopporto.
- Anche i miei litigavano.
- E li odiavi?
- Sì. Ma anche su questo, poi, ho avuto dei ripensamenti. Alla tua età non volevo che litigassero, e tanto meno che si separassero. E forse proprio per questo, proprio a causa mia, non si sono separati e sono rimasti insieme. Poi, quando diventai più grande e loro continuavano a litigare senza separarsi, cambiai idea e cominciai a odiarli per il motivo opposto, perché non si decidevano a farla finita con quella loro relazione forzata e a rifarsi finalmente una vita. Poi, andando avanti ancora con l’età, ho capito che queste sono cose maledettamente complicate e che è difficile capire cosa è giusto fare, in certe situazioni, e che forse la cosa giusta e quella sbagliata nemmeno esistono.
- E non li odi più, adesso?
Sorrisi.
- No, non li odio più. Anzi, mi pento di non aver parlato di più con loro, di non aver provato davvero a capirli.
Tacemmo.
- E con gli altri bambini? - mi chiese dopo un po’.
- Con gli altri bambini?
- Sì, quelli della tua età. Ci andavi d’accordo? Io non ho molti amici. Con le femmine sono timido, non so mai cosa dire. E dei maschi ho quasi sempre paura.
Mi fermai. Si fermò anche lui. Ci guardammo.
- Abbiamo molto in comune, io e te, lo sai? - gli dissi. - Anche per me era esattamente la stessa cosa.
- E ti pesava? - mi chiese riprendendo a camminare.
- Molto - gli dissi andandogli dietro.
- E come facevi?
- Non facevo niente. Scappavo. Evitavo di averci a che fare, con quasi tutti. Mi ero convinto di essere uno sfigato, di avere qualcosa che non andava, di essere più piccolo, più brutto e più incapace di tutti.
- E non era vero?
- Era vero perché lo pensavo e alla fine, a forza di crederlo, ero diventato proprio così. Ma non avevo assolutamente niente che non andasse. Dovevo solo avere più fiducia in me stesso. Non ci sono mai riuscito. Nemmeno diventando adulto, nemmeno oggi. Perché la fiducia in se stessi è qualcosa che si impara presto, e dopo una certa età non si riesce più. Non si dovrebbe aver paura di niente. Chi vive di paure, non vive. Capisci?
Mi girai verso il bambino, ma non c’era più.
Mi guardai tutto attorno, ma lui era scomparso.
- Ehi! - gridai.
Nessuna risposta.
- Ehi, dove sei?
Solo quel silenzio irreale e nient’altro.
Ecco, mi dissi, lo sapevo. Coi miei discorsi l’avevo annoiato o peggio intimorito. Si era voltato e se l’era data a gambe. Non ci avevo mai saputo fare, io, con i bambini.
Affranto, mi chiesi se tornare indietro o proseguire. Non volevo certo dargli l’impressione di inseguirlo. Decisi così di rimettermi ad ascoltare il silenzio e di andare avanti.
Fine della prima puntata
La seconda verrà pubblicata l’11 aprile 2024
Aspetto la seconda!
Intimo e profondo