Seconda e ultima puntata
Forse i rumori provengono da un’altra cucina. I nostri vicini sono molto rumorosi. Si tratta di una coppia con un figlio ormai maggiorenne, disoccupato. Mezzo matto come i suoi. Litigano spesso. A volte marito e moglie, a volte madre e figlio, a volte padre e figlio, a volte tutti e tre insieme. Non li sopporto. Ma stasera loro non c’entrano niente. Ho posato il libro sul mobiletto accanto alla poltrona e sono rimasto in ascolto, molto attentamente. I rumori giungono da dentro casa, non da fuori. Dal piano di sotto. Dalla cucina. La porta del mio studio è aperta, quella del giroscale anche, e il primo piano è un open space, perché Sonia ha voluto così: niente pareti. Non ci sono ostacoli tra il mio orecchio e questi rumori, se non un piano di scale. Posso udirli e distinguerli perfettamente.
Qualcuno dunque si è introdotto in casa mia, è entrato in cucina e vi sta svolgendo una qualche attività. Sembra che stia preparando da mangiare, parecchia roba, e pure con una certa lena. Il che è assurdo, dato che il frigo straborda di cibo già pronto. Non poteva semplicemente aprirlo, scegliere quello che più gli pareva appetitoso, scaldarlo, sedersi a tavola e mangiare in silenzio, senza fare tutto questo baccano? Odio i rumori molesti. Ho sempre dei tappi con me. Sarei tentato di metterli anche in questo momento, ma non posso. Devo restare in ascolto, voglio capire meglio cosa sta succedendo.
Di certo, non si tratta di un ladro. Primo, perché un ladro, per definizione, non si mette a banchettare nelle case in cui entra per svaligiarle, ma, appunto, le svaligia senza perdere tempo e poi se ne va. Secondo, e più importante: perché un ladro, sempre per definizione, non fa rumore, mentre di sotto il frastuono ormai è infernale.
Deve trattarsi di qualcuno che non avrebbe timore d’introdursi qui dentro e di fare come se fosse a casa sua. Qualcuno che deve avere la chiave di casa, perché il portone d’ingresso è chiuso, così come lo è ogni finestra e ogni portafinestra, e l’unico altro modo per entrare sarebbe stato scassinare. Ma a scassinare sono solo i ladri, e ho già escluso che possa trattarsi di un ladro. Deve trattarsi di qualcuno che ha aperto con la chiave, è salito al primo piano, magari mi ha chiamato, io dormivo e non ho risposto, così che adesso pensa di essere solo in casa.
Ad avere la chiave, oltre a me, sono solo tre persone. Sonia, la domestica e mia madre.
Sonia, come ho già detto, è a Berlino. Mi ha appena mandato un messaggio. “Come stai? Hai mangiato? Non avanzare nulla! E tieni pulita la casa: fai venire Ada almeno ogni due giorni. Qui tutto bene. Ho già comprato un paio di sedie di design meravigliose!”. Che donna piena di energia. Mai ferma. Mica come me, che quando mi siedo su questa poltrona non mi alzerei per nulla al mondo.
Nel frattempo, di sotto i rumori sono diminuiti d’intensità. Sembra che adesso l’intruso si sia fermato. Si sente solo il tintinnio delle posate sul piatto. Forse sta mangiando quello che ha preparato.
La domestica si chiama Adeola, per tutti Ada. È africana. Una brava ragazza, grande lavoratrice. Così brava che Sonia le ha consegnato le chiavi di casa, per permetterle di entrare quando noi non ci siamo. L’avevo considerata una mossa avventata, ma poi ho imparato a fidarmi anch’io di lei e a trattarla come una di famiglia. Al punto che un giorno mia moglie non era in casa e io sono uscito dal bagno nudo pur sapendo che Ada era lì in corridoio, a passare l’aspirapolvere. Mi ha guardato per un lungo istante, ha spento l’aspirapolvere, si è avvicinata, me lo ha preso in mano e ha iniziato a darsi da fare. La sera stessa ho convinto Sonia ad aumentarle la paga. Sarebbe bello che adesso ci fosse Ada, giù in cucina, ma non può essere così: è stata qui poche ore fa, abbiamo scopato e poi se n’è andata di corsa perché era il compleanno della sorella e stasera uscivano a festeggiare. Con i cento euro extra che le ho allungato prima che mi lasciasse, potrà divertirsi a dovere. Se lo merita. Il suo messaggio mi è arrivato poco fa e io l’ho già cancellato. “Grazie papi. Stiamo andando in discoteca. Anche mia sorella ti ringrazia. Pure lei vorrebbe tanto conoscerti. La tua miciona”.
I rumori sono tornati molesti. Pare che il pasto sia già terminato. Adesso, a giudicare da quel che sento, l’intruso sta lavando i piatti. Una montagna di piatti. Chiunque sia, non sa godersela per niente. Tutto quel gran daffare per poi mangiare in fretta e furia e rimettersi a faticare, quando c’era la nostra lavastoviglie enorme a poter fare il lavoro al suo posto, in modo senz’altro meno rumoroso.
Resta mia madre. In effetti, lei sarebbe il tipo da fare una cosa del genere. Venire qui sapendo che Sonia non c’è, aprire il frigo, vedere tutto quello che mia moglie mi ha lasciato, giudicarlo cibo dannoso per la mia salute, prepararmi un sacco di cose dietetiche mettendo tutto a soqquadro come suo solito, mangiare solo un boccone al volo per non compromettere la linea, lavare i piatti evitando la lavastoviglie perché non laverà mai bene come un paio di mani guantate grondanti detersivo. Solo che mia madre si è rotta un braccio l’altro ieri e adesso si trova in ospedale, ingessata. Anche lei mi ha appena mandato un messaggio. “Come stai? Hai mangiato? Non esagerare con le schifezze. Qui tutto bene, solo un po’ di dolore. Ciao. Mamma”.
Adesso i rumori sono cessati, d’improvviso. Tendo l’orecchio: nulla. Il silenzio più assoluto.
Rimango in attesa per qualche istante, incerto sul da farsi. Per un attimo, ho la tentazione di rimettermi a leggere e mandare al diavolo tutta questa dannata faccenda. Ma alla fine mi decido e mi alzo.
Esco dallo studio. Scendo di sotto. Arrivo in cucina.
Non c’è nessuno. Tutto è esattamente come l’avevo lasciato. Non c’è niente che mi appaia fuori posto. Apro il frigo: anche lì dentro è tutto com’era. Mi dico che forse ho immaginato ogni cosa, che forse sono davvero schifosamente ubriaco, così ubriaco da credermi sobrio. E a quel punto butto l’occhio sulla bottiglia di bianco che avevo lasciato a metà e noto che invece è quasi vuota. Resta solo un dito. Eppure, sono certo, certissimo che a metà mi ero fermato. Scuoto la testa, sbuffando. Afferro la bottiglia con un gesto quasi di stizza e a collo bevo anche quell’ultimo sorso. Poi getto il vuoto nel contenitore del vetro e torno di sopra.
Mi rimetto in poltrona e subito mi pare di star meglio.
Prendo di nuovo in mano l’Ulisse.
Dopo poche righe, m’interrompo per fare una cosa importante: mi metto i tappi. Si tratta di tappi professionali, di quelli che si usano sui cantieri. Difendono bene dai rumori molesti. E io odio i rumori molesti.
Poi ricomincio a leggere, dalla scena di Bloom che si masturba.
Passano pochi minuti e già sto dormendo.
I rumori giù in cucina, intanto, riprendono.
Ma stavolta, per fortuna, non posso sentirli.