Non è una chitarra per ricchi
Una storia che sa di processi sommari e cuori di terra
Santiago del Cile, 1973
C’erano cinquemila sorci comunisti da processare e condannare.
Era un lavoro improbo, ma bisognava farlo.
Uno di loro cantava e suonava la chitarra. Meritava di soffrire più degli altri.
- Torturatelo a lungo, prima - disse il brigadiere Hernan Chacòn ai suoi sottoposti.
Lo portarono via in sette.
Obbedirono agli ordini.
Lo pestarono, lo bastonarono, lo tagliarono, lo sfregiarono.
Andarono avanti così per cinque giorni.
Si accanirono soprattutto sulle mani.
Gli spezzarono le dita.
- Vai a prenderla - disse uno di loro a un altro, il quinto giorno.
Quello si allontanò e tornò poco dopo. Aveva in mano una chitarra.
- Suonala ora, se ci riesci - dissero al sorcio comunista che cantava e suonava la chitarra.
Quello sorrise.
Poi, siccome non aveva più dita per suonare, iniziò a cantare.
Fu allora che gli spararono.
Si chiamava Victor Jara.
Santiago del Cile, 2023
Quel quartiere era abitato da gente ricca. C’erano hotel, ristoranti, cocktail bar. E belle case.
Come quella di cui ora stava suonando il citofono.
- Chi è? - domandò il vecchio che l’abitava.
- Il postino - rispose il giovane che aveva suonato.
Dopo alcuni istanti, la porta si aprì.
- C’è una raccomandata per lei - disse il giovane infilando la mano sinistra nella borsa che aveva a tracolla. Non ne tirò fuori una raccomandata, però, ma una pistola.
Il vecchio sgranò gli occhi.
- Torna dentro - gli intimò il giovane. - E niente cazzate.
Il vecchio obbedì. Alzò le mani e tornò dentro senza fiatare.
Il giovane gli andò dietro. Poi chiuse la porta.
Si guardò attorno.
Una bella casa, sì. Mobilio raffinato, una tv enorme, il divano di design.
- Siediti - disse al vecchio indicando il divano.
Quello obbedì.
Il giovane prese posto su una poltrona, di fronte a lui.
- Lei è Hernan Chacòn, generale dell’esercito in pensione? - domandò al vecchio.
Quello, pallido, si limitò ad annuire.
- Io sono Victor Jara - disse il giovane.
Il generale sgranò gli occhi e si fece ancora più pallido, come se avesse visto un fantasma.
Victor Jara sorrise.
- Mi ha chiamato così mia madre - spiegò. - In omaggio.
Il generale non rispose. Si limitò a respirare con più affanno.
- Mia madre venerava Victor Jara. Mi ha fatto conoscere tutto, di lui. So a memoria ogni sua canzone. Ogni parola, ogni nota.
Il generale deglutì un grumo di saliva.
- Era incredibilmente bravo, non trova?
Il generale non rispose.
- E sa perché?
Il generale continuò a tacere.
- Perché, come diceva lui, la chitarra che suonava aveva un cuore di terra. I suoi genitori erano contadini. La sera, sua madre cantava e suonava la chitarra davanti al fuoco, dopo il lavoro nei campi. E il piccolo Victor l’accompagnava. Le passioni dei figli sono spesso quelle dei genitori. E a lei, generale, cos’ha insegnato sua madre?
Il generale rimase in silenzio.
- Mi guardi - gli disse Victor Jara.
Il generale continuò a fissare un punto invisibile sul pavimento.
- Le ho detto di guardarmi! - gridò Victor Jara.
Il generale, a quel punto, alzò lo sguardo.
Victor Jara vi lesse con chiarezza paura e smarrimento.
- Di certo, non il coraggio - disse. - E allora cosa?
- Che cosa vuole? - domandò il generale.
Victor Jara si stizzì.
- Le domande qui le faccio io - disse. - Lei si limiti a rispondere. Intesi?
Il generale annuì.
- Mi risponda, quindi: cosa le ha insegnato, sua madre?
- Mia madre è morta quando avevo due anni.
Seguì un istante di silenzio.
- Questo è interessante, generale. Questo spiega molte cose. C’è da bere, qui?
Il generale mostrò di non capire.
- Da bere, generale. Alcol.
Il generale indicò una vetrina in fondo alla stanza. All’interno, Victor Jara intravide svariate bottiglie e dei bicchieri.
- Pisco ce n’è? - domandò.
Il generale annuì.
- Bene. Allora si alzi e vada a prenderne. Per me e per lei. Senza fare scherzi.
Il generale obbedì. Raggiunse la vetrina, afferrò la bottiglia di pisco, versò da bere con mano tremante, prese i due bicchieri e tornò da Victor Jara. Gliene allungò uno e andò a sedersi di nuovo sul divano reggendo l’altro.
- A Victor Jara - disse Victor Jara, sollevando il bicchiere. Poi bevve un lungo sorso di pisco.
Il bicchiere del generale, invece, rimase abbassato.
- Beva anche lei, generale.
Il generale non si mosse.
- Le ho detto di bere.
Lentamente, il generale si portò il bicchiere alla bocca e bevve un piccolo sorso di pisco.
- Se lei se ne va da qui adesso - disse poi - le garantisco che non le accadrà nulla.
Victor Jara scoppiò in una fragorosa risata.
- Lei garantisce? Lei è sotto processo, generale! Non può garantire assolutamente niente, lo capisce?
Il generale non rispose.
- Chi era per lei Victor Jara?
- Nessuno. Non era nessuno.
- Chi era per lei Victor Jara?
Il generale non rispose.
Victor Jara si alzò, si avvicinò a lui e gli abbatté sulla fronte il calcio della pistola.
Il generale urlò di dolore.
- Chi era per lei Victor Jara?
- Un oppositore - disse il generale con un filo di voce.
- Victor Jara stava dalla parte del popolo, dei contadini, degli operai. Erano tutti oppositori?
Il generale non rispose.
- Erano tutti oppositori?
- Io eseguivo soltanto gli ordini dei miei superiori.
- Che a loro volta eseguivano gli ordini di Augusto Pinochet.
Il generale annuì.
- Chi era per lei Augusto Pinochet?
- Il capo dello Stato.
- Sbagliato, generale. Augusto Pinochet era un fascista, golpista, dittatore e criminale sanguinario.
- Ero un militare, dovevo obbedire agli ordini.
- E li condivideva, quegli ordini?
- Erano ordini. Condivisi o meno, andavano eseguiti.
- Non le ho chiesto questo. Le ho chiesto se condivideva quegli ordini.
Il generale non rispose.
- Condivideva l’ordine di assassinare Victor Jara?
Il generale continuò a tacere.
- Risponda!
- Era un uomo ritenuto pericoloso per la sicurezza dello Stato.
- E perché era ritenuto pericoloso?
- Per quello che rappresentava. Perché lo ascoltavano in tanti.
Calò il silenzio.
Victor Jara finì il suo pisco e scagliò a terra il bicchiere, mandandolo in mille pezzi e cancellando in quel modo le proprie impronte digitali. Poi estrasse dalla tasca il suo smartphone e mosse il dito sullo schermo finché non partì una canzone. Il “Manifiesto” di Victor Jara.
Yo no canto por cantar
ni por tener buena voz,
canto porque la guitarra
tiene sentido y razón.
Tiene corazón de tierra
y alas de palomita,
es como el agua bendita
santigua glorias y penas.
Aquí se encajó mi canto
como dijera Violeta
guitarra trabajadora
con olor a primavera.
Que no es guitarra de ricos
ni cosa que se parezca
mi canto es de los andamios
para alcanzar las estrellas,
que el canto tiene sentido
cuando palpita en las venas
del que morirá cantando
las verdades verdaderas,
no las lisonjas fugaces
ni las famas extranjeras
sino el canto de una lonja
hasta el fondo de la tierra.
Ahí donde llega todo
y donde todo comienza
canto que ha sido valiente
siempre será canción nueva.1
Quando risuonò l’ultima nota della canzone con cui Victor Jara aveva presagito la propria morte, il generale Hernan Chacòn stava già piangendo.
- Uccidimi - disse a Victor Jara con un filo di voce.
Quest’ultimo restò spiazzato. Era quello che in effetti intendeva fare. L’ultimo atto di quel suo piano di vendetta, concepito da anni e finalmente messo in atto. Ma a quel punto capì che non era la cosa giusta. Capì che uccidere quel bastardo avrebbe significato fargli un favore. Forse non sopportava più il senso di colpa. Più probabilmente, invece, non sopportava più, da codardo qual era, l’attesa di un’esecuzione capitale di cui aveva ormai compreso l’ineluttabilità. Fatto sta che non sarebbe stato certo lui ad accontentarlo.
- No - disse al generale. - Non sarò io a ucciderti. Lo farai tu stesso.
Con lo sguardo, Victor Jara indicò al generale la pistola.
Il generale annuì.
Victor Jara si avvicinò a lui e gli allungò l’arma.
Il generale fece per afferrarla e Victor Jara gli sparò alla mano.
Il generale urlò di dolore e Victor Jara gli sparò all’altra mano.
Il generale sanguinava e si contorceva, con le mani completamente spappolate.
Victor Jara prese un fazzoletto dalla tasca e lo strofinò sulla pistola, quindi posò l’arma sul tavolino davanti al divano.
- Suonala ora, se ci riesci - disse al generale.
E poi se ne andò.
Nota dell’autore
Nella realtà, i fatti sono andati in modo diverso rispetto a quanto narrato in questo racconto, che è frutto esclusivo della fantasia dell’autore.
Il cileno Victor Jara (foto in alto), cantante e chitarrista, membro del Partito Comunista del Cile, è stato assassinato nel 1973 all’età di quarant’anni, dopo indicibili torture, dai militari di Augusto Pinochet, pochi giorni dopo il colpo di Stato che rovesciò il governo socialista di Salvador Allende, in uno stadio trasformato in campo di concentramento per circa 5.000 oppositori.
Solo mezzo secolo dopo, nel 2023, la Corte Suprema del Cile ha condannato in via definitiva a 25 anni di reclusione per l’omicidio di Victor Jara otto militari dell’esercito cileno ormai in pensione, tra i quali Hernan Chacòn. Quando la polizia cilena si è presentata a casa di quest’ultimo per notificargli la sentenza e trasferirlo in carcere, Chacòn ha chiesto agli agenti di poter andare a prendere delle medicine in un’altra stanza e poi, approfittando del momento, si è ucciso con un colpo di pistola.
Io non canto solo per cantare/né perché ho una bella voce,/canto perché la chitarra/ha sentimento e ragione./Ha un cuore di terra/e ali di colomba,/è come acqua benedetta/che benedice gioie e dolori./Qui il mio canto ha trovato uno scopo/come diceva Violeta/chitarra lavoratrice/con profumo di primavera./La mia chitarra non è dei ricchi/né sembra esserlo/il mio canto è per le impalcature/che cercano di raggiungere le stelle,/perché il canto ha senso/quando palpita nelle vene/di chi morirà cantando/le verità sincere,/non serve a raccogliere premi fugaci/né per darmi fama internazionale/ma è il canto di uno spicchio di terra/che arriva giù fino in fondo al mondo./Là dove tutto giunge/e dove tutto ha inizio/un canto che sia stato coraggioso/sarà sempre una canzone nuova.
Come mostra l'ultimo film di Pablo Larrain, El Conde, certa gente non muore mai, come i vampiri...
Anche morendo certa gente la fa sempre franca...