Le due sorelline (2)
Una storia che sa di piccoli alberghi fuori mano e occhi senza pupille
Seconda e ultima puntata
Lanciai un urlo assordante. Poi, reso frenetico dall’adrenalina che mi pervadeva a fiotti, manovrai con foga l’auto fino a girarla su se stessa. Prima di accelerare con violenza, facendo stridere le gomme sull’asfalto, guardai nello specchietto retrovisore: lei era ancora lì, nella stessa posizione, immobile. In pochi secondi, divenne un puntino bianco. Infine sparì.
Sconvolto, percorrevo quei tornanti più veloce che potevo. Stavo tornando in albergo, dove intendevo riferire l’accaduto all’albergatrice e chiederle aiuto. A un tratto sbandai, rischiando di finire fuori strada. M’imposi di calmarmi e decelerare. Mi passai una mano sulla faccia. Solo allora mi accorsi di essere completamente zuppo di sudore. Cercando i fazzoletti di carta nel cruscotto, smisi per un attimo di fissare la strada. Quando li trovai e tornai a posare gli occhi sull’asfalto, lei era lì.
Urlai di nuovo e frenai di colpo.
La scena si stava ripetendo identica a quella di qualche minuto prima. Per un attimo, pensai che si trattasse della stessa bambina. O, meglio, dello stesso spettro. Poi mi accorsi che in questa c’era qualcosa di diverso. La camicia da notte era rosa, e un po’ più corta dell’altra. E i capelli, scuri anch’essi, non erano sciolti, ma raccolti in due lunghe trecce che le cadevano sulle spalle, fino al petto. Fu allora che capii. Questa bambina era l’altra. La seconda sorellina.
Ormai in preda al terrore, rimasi per qualche istante tragicamente indeciso sul da farsi. Girare la macchina, stavolta, non sarebbe servito. Sarei tornato dall’altra bambina. D’istinto, a quel punto, guardai nello specchietto retrovisore, con un orribile presentimento. Trasalii. Come temevo, alle mie spalle, l’altra bambina stava lentamente avanzando verso l’auto. Mi stavano chiudendo in una morsa.
Per un attimo vidi tutto bianco, mi girò la testa e rischiai di svenire. Per fortuna non accadde. Mi ripresi e fu in quel momento che mi decisi: sarei ripartito a tutta velocità, avanzando senza frenare. In fondo, mi dissi, si trattava di un fantasma. E ai fantasmi, è risaputo, si può passare attraverso.
Diedi gas e partii a razzo. Percorsi quasi interamente la trentina di metri che mi separavano dalla bambina che avevo di fronte. Ma poi, all’ultimo istante, appena prima di travolgerla, frenai di colpo, squarciando una volta di più il silenzio di quella notte d’estate.
Ma cosa stavo facendo? Dovevo essere completamente impazzito. E se si trattava di una bambina in carne e ossa? Dopo averla investita e ammazzata, cos’avrei detto per evitare di marcire dentro a qualche carcere per il resto dei miei giorni? Che pensavo fosse uno spettro? Allora avrei forse evitato il carcere, è vero, ma solo per finire in qualche clinica psichiatrica.
Mentre così riflettevo, la bambina era rimasta immobile davanti all’auto. D’un tratto, alzò gli occhi su di me. Fui costretto a un nuovo urlo. Nemmeno lei aveva le pupille.
Guardai nello specchietto retrovisore. L’altra bambina era ormai a pochi passi da me. La loro morsa si stava chiudendo inesorabilmente.
Provai a ripartire, ma ormai tremavo violentemente e feci spegnere il motore. Provai a riaccenderlo, ma non vi riuscii. Fu allora che, di puro istinto, in preda a un panico viscerale, assoluto, aprii la portiera e abbandonai l’auto. Mentre, con la coda dell’occhio, vidi anche l’altra bambina iniziare a muoversi verso di me, mi buttai di lato alla strada, nel fitto della boscaglia.
Corsi a rotta di collo fra gli alberi per alcuni minuti, senza vedere dove stessi andando. L’unica cosa che mi interessava era allontanarmi da quelle due bambine, spettri o esseri umani che fossero.
Mi fermai solo quando, in lontananza, udii mettere in moto.
Mettere in moto?
Tra le frasche, vidi la mia auto muoversi veloce risalendo i tornanti. Poi non la vidi più. Sparita per sempre. Insieme al carico che trasportava.
Un mese dopo, fu l’albergatrice a ritrovarsi nella stessa situazione, una sera, verso le due di notte, tornando in albergo dopo essere stata a una vivace festa mondana.
Quando la prima bambina le sbucò davanti, sbiancò incredula, dicendosi che non poteva essere. Quando, dopo aver girato la macchina, si ritrovò sulla propria strada anche la seconda, quasi svenne. E quando capì che la morsa dei due spettri si stava chiudendo su di lei, abbandonò l’auto terrorizzata e si diede alla fuga nella boscaglia.
Quando, dopo pochi passi, sentì due mani stringersi attorno a sé, avvinghiarla e buttarla a terra, per prima cosa si chiese, mentre urlava terrorizzata, com’era possibile che un fantasma potesse esercitare una presa, e che presa.
Non era un fantasma, infatti. Molto peggio. Ero io.
Ero tornato lì, su quelle colline, insieme a due giovani attrici, dalla corporatura così esile da poter essere scambiate per bambine. Indossando delle camicie da notte e delle lenti a contatto bianche per far sparire le pupille, avevano recitato alla perfezione la parte degli spettri, come avevo detto loro di fare e come avevano fatto anche le figlie dell’albergatrice con me, quella notte di un mese prima.
Un attimo dopo aver visto sparire la mia auto, avevo capito che razza di idiota ero stato. Mi avevano raggirato come si fa col più stupido dei creduloni. L’albergatrice sapeva che commerciavo in gioielli, perché, appena dopo il sesso, glielo avevo confidato. E sapeva pure che ne avevo dietro un carico di grosso valore, e che sarei ripartito prima dell’alba per andare in città a consegnarli. Glieli avevo mostrati, per vantarmene. E le avevo visto gli occhi brillare, mentre li fissava. Poi, lì sul letto, se n’era uscita con la storia delle due sorelline fantasma, suggestionandomi per bene. E, dopo avermi augurato la buonanotte, era andata dalle figlie, a svegliarle e dire loro che anche quella notte avrebbero messo in scena il “giochino”, come avevano fatto già altre volte in passato, a danno di altri malcapitati come me, alcuni dei quali non avevano nemmeno denunciato il fatto alla polizia, nel timore di essere considerati mezzi matti, mentre altri lo avevano fatto ed erano stati in effetti liquidati come tali. Esattamente come, mi ero detto, sarebbe capitato pure a me. Così, avevo deciso di farmi giustizia da solo.
Quando la donna smise di urlare, accesi la torcia, illuminai il mio volto e la vidi impallidire ulteriormente, come se fossi davvero un fantasma. Al collo, notai, aveva una delle collane che mi aveva rubato un mese prima, come avevo sperato quando quel tardo pomeriggio avevo saputo da una delle figlie, chiamando in albergo, che quella sera era uscita per andare a una festa. Impossibilitata a negare l’evidenza, non poté fare a meno di ammettere la sua colpa.
Per quanto avessi le prove del suo furto, non la denunciai. Mi feci restituire i gioielli e poi le dissi che, in cambio della mia decisione di risparmiarle brutte noie con la legge, avrebbe dovuto prendermi come suo socio in affari.
Così, oggi, quando le sue figlie entrano in azione, lo fanno anche per me. Quando, una volta ogni due o tre mesi, passo a riscuotere la mia metà, arricchita dal sesso che lei, in aggiunta, è tenuta a concedermi, scopro ogni volta con piacere che si tratta di incassi davvero lauti, assai più consistenti di quelli che faccio col commercio di gioielli.
Un fantasma non può stringere in mano niente, men che meno i soldi. Ma può fruttarne parecchi. Se poi sono due...
Immaginavo!
Impazzisco per gli alberghi fuori mano... :-)