Le due sorelline (1)
Una storia che sa di piccoli alberghi fuori mano e occhi senza pupille
Prima puntata di due
Mi svegliai molto prima dell’alba. Dovevo raggiungere la città entro mezzogiorno e avevo ancora molta strada da fare. Il carico che trasportavo andava consegnato senza ritardi.
Avevo passato la notte in un piccolo albergo che la mia guida raccomandava per il buon cibo e la posizione tranquilla. Ed era vero. Avevo mangiato ottimamente e riposato come un angioletto. Per raggiungerlo, avevo deviato di alcuni chilometri dalla strada principale, salendo parecchio di quota, lungo tornanti stretti e tortuosi, ma ne era valsa la pena. Oltretutto, la titolare, una donna piacente, sulla trentina, mi aveva riservato un’accoglienza a dir poco fenomenale: dopo la cena, mi aveva offerto un paio di amari e ci aveva messo poco per farmi capire la sua intenzione di portarmi a letto. Era divorziata, le figlie piccole erano già a dormire e l’albergo non aveva altri clienti: un’occasione d’oro, mi aveva fatto notare ammiccante. E io avevo convenuto.
Stavo ancora pensando agli ottimi servigi che la donna mi aveva reso, quando, dopo essermi lasciato alle spalle uno dei tornanti della strada che mi stava riportando a valle, la vidi. Illuminata dai fari della mia auto, se ne stava lì, in mezzo alla carreggiata, in piedi, ferma, immobile. La bambina.
Frenai di colpo, anche se lei si trovava ancora a svariate decine di metri da me. Mi si mozzò il respiro. Non poteva essere. L’albergatrice stessa, quando mi aveva raccontato quella stupida leggenda nera, aveva detto di non credervi affatto, aggiungendo che gli ultimi avvistamenti delle due sorelline erano avvenuti ormai oltre mezzo secolo prima, quando ancora la gente credeva ai fantasmi.
Fatto sta che adesso la bambina era lì, davanti a me. Indossava una camicia da notte bianca, che le scendeva fino alle caviglie. Era scalza. Proprio com’era abbigliata la notte d’estate che, insieme alla sorellina, oltre cent’anni prima, per motivi che nessuno seppe mai spiegarsi, era uscita di casa - la casa su quelle colline che poi sarebbe diventata l’albergo dove io avevo alloggiato - mentre i genitori, facoltosi proprietari terrieri, dormivano. Non le avevano mai più trovate. Né vive né morte. Sparite. Volatilizzate. La madre c’era uscita di testa, e si era suicidata poco tempo dopo. Il padre aveva venduto la casa insieme a ogni altra proprietà ed era partito, nessuno sapeva dove e nessuno l’aveva mai più rivisto.
Deglutii. Era ridicolo. Non potevo certo mettermi a credere ai fantasmi come quando avevo otto anni, ora che ne avevo trenta di più. Mi dissi che forse era uno scherzo giocatomi dalla vista, dovuto alla suggestione per quella storia che l’albergatrice, dopo il sesso, mi aveva raccontato con dovizia di particolari, mentre eravamo sdraiati sul letto. In fondo, riflettei, era buio pesto, lì fuori. I fari della mia auto erano l’unica fonte di luce e la bambina, o presunta tale, era distante, una semplice sagoma in lontananza. Poteva essere qualsiasi altra cosa, o addirittura niente. Alzai il piede dal freno e lo rimisi sull’acceleratore. Lo premetti piano e avanzai.
No, i miei occhi non si erano ingannati affatto. Lì, in mezzo alla strada, c’era una bambina. Frenai di nuovo. Ormai ero arrivato a una decina di metri da lei. Era rimasta nella stessa posizione, come una statua di sale. Adesso, benché tenesse il capo leggermente chino, potevo distinguerne bene i lineamenti. Era magra, se non proprio emaciata, e sul suo volto s’indovinava sofferenza. Rabbrividii violentemente. I fari la illuminavano dal basso e così, in quella luce gialla e cruda, pareva davvero uno spettro. Scossi la testa, per scacciare quell’idea assurda. Per quanto strano, forse quella bambina si era semplicemente perduta. Forse stava male. Forse aveva bisogno di aiuto. E io me ne stavo lì, impietrito, a scambiarla per un fantasma. Come un perfetto imbecille.
Di nuovo rimisi il piede sull’acceleratore e avanzai. Arrivai a un metro da lei e fermai l’auto. Per la prima volta da quando la bambina era apparsa, le levai gli occhi di dosso per guardarmi attorno. Oltre a lei, c’era solo la notte, lì fuori, e il suo buio. Tornai a fissarla. Lei, invece, sempre perfettamente immobile, non mi guardava: i suoi occhi continuavano a puntare l’asfalto. A quella distanza ravvicinata, il suo volto mi parve ancora più sofferente. Inspirai profondamente, ormai deciso a uscire dall’auto per prestarle l’aiuto di cui evidentemente aveva bisogno. Fu allora che la bambina alzò lo sguardo e lo posò su di me.
I suoi occhi erano senza pupille.
Fine della prima puntata
La seconda verrà pubblicata il 31 ottobre 2024
Penso di aver capito...
Inquietante...