Seconda e ultima puntata
Il giorno dopo fecero la loro prima videochiamata. Al tempo delle pandemie, non si usava quasi più chiamarsi senza guardarsi in faccia, anche perché in faccia, nel mondo reale, non ci si poteva più guardare, mascherati com’erano tutti. Le videochiamate erano uno dei pochi momenti in cui si poteva farlo.
Lei era bella proprio come lui aveva intuito sul treno. Anzi, di più. Bella da fare male. Come poteva innamorarsi una così di uno come lui? E chi te lo ha detto, scemo, che lei abbia intenzione di innamorarsi? Una ragazza non può chiacchierare con un uomo senza volerci per forza provare? Il fatto era che lui, quanto a donne, non aveva praticamente alcuna esperienza. Imbranato fin da quando era un liceale, da universitario non aveva fatto alcun progresso. Su questo, il distanziamento sociale imposto dalla prima pandemia aveva pesato come un macigno. Come si fa a conquistare una ragazza se non ti ci puoi avvicinare? Al tempo delle pandemie, ci s’innamorava solo nei libri.
- Sei molto bella - le disse.
- Tu no - rispose lei, gelandolo. - Per questo mi piaci - aggiunse sorridendo. E per lui fu come passare dall’inferno al paradiso.
La storia - era una storia? - andò avanti, di pari passo con la pandemia. Il virus continuava a contagiare, e loro, la sera, continuavano a videochiamarsi, a parlarsi, a coltivare il loro amore - era amore?
Fino a che arrivò, inevitabile, il momento del sesso.
Lui, ovviamente, era vergine, anche se lei ancora non lo sapeva. Lei no, non lo era. L’aveva persa prima delle pandemie, la verginità. A sedici anni, una notte d’estate, sulla spiaggia, con un tedesco di cui non ricordava nemmeno il nome. Dopo di lui, ce n’erano stati altri – cinque, sei? Fino a Riccardo, l’ultimo, conosciuto verso la fine della prima pandemia, quando le mascherine avevano iniziato a scomparire e le labbra erano tornate libere di baciare. Baciare Riccardo, che un giorno le prometteva il matrimonio e quello dopo la prendeva a schiaffi e pugni. A salvarla era arrivata la seconda pandemia: di nuovo distanziamento sociale, di nuovo mascherine. E solo così, da dietro la mascherina e a distanza di sicurezza, un giorno lei aveva trovato il coraggio di farlo: aveva preso l’auto, guidato fino a casa sua, citofonato, atteso che lui scendesse e lì, in strada, gli aveva detto che tra loro era finita, risalendo subito in macchina e ripartendo veloce, mentre lui le correva dietro urlando di rabbia.
- Ti va di fare sesso?
Glielo chiese lei, durante la quotidiana videochiamata serale. Erano passati tre mesi dal loro primo e unico incontro dal vivo, su quel treno.
Sesso? E come? La domanda non era dovuta solo alle circostanze del momento: come si poteva fare sesso se non ci si poteva nemmeno incontrare? Se lo sarebbe chiesto anche se non ci fosse stata alcuna pandemia: il sesso con una donna, per lui, era un mistero. Era il mistero. Ciò che vedeva sui siti porno – quante volte? tutti i giorni? sì, praticamente tutti i giorni - era una cosa, la realtà era un’altra, di cui lui non sapeva nulla.
- Sesso? E come? - ripeté. Ad alta voce, stavolta.
Lei, senza rispondere, allontanò da sé la telecamera quanto bastò per risultare inquadrata interamente e iniziò a spogliarsi. In breve, restò nuda.
- Adesso spogliati anche tu - gli disse. E dovette ripeterglielo, perché lui, imbambolato a fissarla nello schermo, non aveva sentito.
Ubbidì e rimase nudo pure lui, con un principio di erezione che per fortuna, si disse, restava fuori dall’inquadratura.
- Allontana la telecamera, così ti vedo tutto - gli disse lei.
- Se proprio insisti... - e ubbidì di nuovo.
Lei, vedendolo come mamma l’aveva fatto, sorrise soddisfatta.
- Adesso dimmi cosa vuoi che faccia - gli disse.
- In che senso? - rispose lui, ottuso.
Lei sospirò, poi lasciò scendere una mano fra le gambe e iniziò a masturbarsi piano.
- Fallo anche tu - gli sussurrò quando si sentì molto eccitata.
Lui ubbidì ancora una volta.
Andarono avanti per un po’, finché vennero entrambi, nello stesso momento.
Lo trovarono molto bello e da allora si ripeterono quasi ogni giorno, con gioia.
Anche la seconda pandemia, molti mesi dopo, iniziò ad allentare la sua morsa. Il distanziamento sociale progressivamente si ridusse, le mascherine piano piano scomparvero. E arrivò per i due innamorati il momento tanto atteso, quello d’incontrarsi. Dal vivo, finalmente.
Fu strano. A entrambi l’altro parve troppo vero, troppo vivido, troppo vicino. Ma, nel salutarsi, pensarono tutti e due che era normale, che dovevano abituarsi.
Non si abituarono. A ogni incontro si sentivano frenati. Da cosa? Dalla realtà. Dall’immediatezza della realtà.
Il sesso, poi, fu un disastro. Ci provarono a casa di lui. Il contatto dei corpi diede loro fastidio anziché piacere. Non riuscirono a concludere nulla. Si rivestirono. Si dissero che sarebbe andata meglio la volta dopo.
Non ci fu mai, la volta dopo. Passò qualche giorno e lei gli propose una pausa di riflessione. Lui accettò.
Rifletterono. Quanto? Non molto, a dire il vero. Il tempo di capire che era finita. Se lo dissero. E finì.
La terza pandemia arrivò un anno dopo.
Di nuovo distanziamento sociale, di nuovo mascherine.
A entrambi venne la stessa idea. Fu lui a concretizzarla prima.
“Ciao, è da tanto che non ci sentiamo… Come stai?” le scrisse una sera, stravaccato sul divano, birra in mano, aspettando che la pizza si scaldasse.
La risposta di lei arrivò dopo una manciata di minuti, mentre il forno scampanellava.
“Ciao! Sto bene, grazie, e tu? Pensavo proprio a te, in questi giorni...”.
Chattarono per tutta la sera, e quella dopo si videochiamarono.
Erano rimasti entrambi single, e si rimisero insieme.
Più il virus contagiava, più loro si amavano.
- Ma è amore, questo? - le chiese lui una sera.
- Che importa? - rispose lei.