Seconda e ultima puntata
Nonostante la pessima situazione, cercai di non perdere la calma. Respirai profondamente. Una, due, tre volte.
Poi, siccome il senso della vista era diventato del tutto inutile, provai a usare quello dell’udito e mi misi in ascolto, in cerca di qualcosa che potesse aiutarmi, anche se non riuscivo a immaginare cosa, né come. Non udii nulla. Era da quando mi trovavo lì dentro, a pensarci bene, che non sentivo alcun rumore, di alcun tipo. Nemmeno un sibilo, o un fruscìo. Niente di niente.
Allora passai all’olfatto. Mi concentrai sugli odori. Mi accorsi tuttavia che, come per la vista e per l’udito, non c’era nulla su cui concentrarsi. Non si avvertiva alcun odore. Né muffa, né asfalto, né altro.
Sentii a quel punto il disperato bisogno di percepire qualcosa, qualsiasi cosa pur di sentirmi vivo. Mi pareva di non esistere più, dentro a quel tunnel. Di essere diventato un organismo privo di capacità sensoriale, capace solo di riflettere poco e male, o addirittura illuso della propria capacità di riflettere, ma in realtà semplicemente ingannato dalla sua stessa, debole mente, ingannato sul fatto stesso di vivere nel momento in cui, invece, era già morto.
Come un sonnambulo, o uno zombie, sollevai di scatto entrambe le braccia e le protesi in avanti, per portare le mani a contatto con la parete del tunnel lungo la quale mi ero mosso fino a quel momento. Le mie mani, tuttavia, non toccarono nulla. Le allungavo sempre di più, ma non riuscivo a toccare niente, solo il vuoto. Fu allora che, preso dal panico, un panico atavico, assoluto, chiusi gli occhi e mi misi a urlare con tutto il fiato che avevo in corpo.
L’urlo fu così forte che sulle prime quasi non udii il clacson. Quando ci riuscii, sobbalzai e riaprii gli occhi. Un’auto si avvicinava a gran velocità, e mi suonava perché mi trovavo nel bel mezzo della carreggiata. Nell’oscurità avevo perso il senso dell’orientamento e, anziché muovermi verso la parete del tunnel, mi ero mosso verso il centro della strada. Un perfetto idiota, mi dissi. Poi iniziai a gesticolare, per indurre l’automobilista a fermarsi. Quello iniziò a rallentare. Ero un idiota, ma ero anche salvo.
L’auto si arrestò di fianco a me, mentre il finestrino del passeggero si abbassava rapidamente. Mi chinai un poco per guardare dentro l’abitacolo. C’era un uomo. Un uomo molto vecchio.
- Sono rimasto senza benzina - spiegai con voce arrochita dall’urlo lanciato un attimo prima. - La mia auto si è fermata poco più avanti. Qui non c’è campo e stavo provando a uscire per chiamare l’assistenza stradale.
- Salga - mi disse il vecchio, semplicemente.
Io montai e lui ripartì.
- Non so come ringraziarla - dissi. - A un certo punto ho temuto di poterci morire, qui dentro.
Il vecchio non rispose e continuò a guidare. Mi parve di averlo visto sorridere, ma probabilmente mi ero sbagliato.
- Come si sente? - mi chiese dopo qualche istante, senza togliere gli occhi dalla strada.
Quella domanda mi sorprese. Era una domanda semplice, in fondo, forse addirittura di circostanza, ma le attribuii comunque un qualche senso nascosto.
- Bene, direi - risposi senza troppa convinzione.
- Mi fa piacere - disse lui. - Non capita a tutti.
Lo guardai senza capire.
- Cosa, non capita a tutti?
- Di sentirsi bene, dopo.
- Dopo cosa?
- Dopo quello che le è successo.
- Beh, nulla di così grave. Non è stato bello, ma c’è di peggio.
Il vecchio sorrise davvero, stavolta, continuando a guidare a velocità piuttosto sostenuta. Mi meravigliai del fatto che non fossimo ancora arrivati alla mia auto.
- È davvero lungo, questo tunnel - dissi.
- Oh, sì. Può dirlo forte.
- Lei è di queste parti?
- Sempre vissuto qui.
- Allora conosce bene questa strada.
- Eccome. La conosco meglio di chiunque altro.
Poi tacque, e io con lui.
Proseguimmo ancora per un bel pezzo. La mia auto, però, non si vedeva. Pensai che forse, per via della velocità e del buio pesto, l’avevamo superata senza accorgercene. O che forse non me n’ero accorto io, mentre il vecchio sì, ma aveva tirato dritto, perché in effetti era all’uscita del tunnel che eravamo diretti.
- Lei l’ha vista, la mia macchina? - gli domandai per sincerarmene.
Il vecchio sorrise di nuovo, senza rispondere, e stavolta il suo atteggiamento mi stizzì.
- Cosa c’è da ridere? - domandai brusco, senza nascondere il fastidio.
- Non l’ha capito, quindi?
- Capito cosa?
Sorrise di nuovo.
A quel punto la mia stizza divenne rabbia.
- Mi ha proprio rotto, sa? La smetta con questi stupidi sorrisini e mi dica quanto manca all’uscita. Non ne posso più di stare qui dentro!
Il sorriso del vecchio si fece risata. Sonora. Beffarda.
- L’uscita! - esclamò divertito. - Davvero lei mi sta chiedendo dell’uscita?
Inferocito, fui sul punto di mettergli le mani addosso, quando finalmente avvistai qualcosa davanti a me, a bordo strada. La piazzola. La mia auto.
Guardai il vecchio e mi vergognai immediatamente del mio comportamento. Dovevo essere tanto stravolto da percepire le distanze in modo ormai completamente alterato. Dovevo avere i nervi tanto a pezzi da non riuscire più a controllarmi, arrivando a maltrattare proprio la persona che, per quanto stramba, mi stava aiutando a venire fuori da quella situazione complicata.
- Eccola, la sua macchina - disse il vecchio, rallentando leggermente.
- Mi scusi, ho perso il controllo - dissi io, affranto.
- Non si preoccupi, capita sempre. È una reazione normale, dopo.
Di nuovo, non capii il senso di quel “dopo”, ma decisi di non farci caso. Guardai invece fuori dal finestrino, verso la mia auto che si avvicinava. Mi sentii sollevato. L’uscita del tunnel doveva essere vicina, ormai. Se anziché tornare indietro fossi andato avanti, poco prima, a quell’ora mi sarei già trovato all’esterno, e forse il soccorso stradale sarebbe già arrivato. Tanto per cambiare, avevo fatto la scelta sbagliata.
Quando finalmente transitammo di fianco alla mia auto, ciò che vidi cancellò di colpo quei pensieri. Sgranai gli occhi e mi feci pallido. Come un morto.
Era la mia macchina, non c’erano dubbi. Ma non era come l’avevo lasciata. Era incidentata. Orribilmente incidentata. E dentro... Dentro c’era qualcuno. Un uomo. Accasciato sul volante. Immobile.
- Si fermi! - urlai al vecchio. - Si fermi!
Il vecchio obbedì e frenò bruscamente.
Scesi dall’auto e mi diressi a passo tremante verso la mia.
Fu poco prima di raggiungerla che iniziai a capire.
Mi voltai stralunato e vidi il vecchio che mi guardava. Non sorrideva più, adesso. Con un cenno del capo, mi parve invitarmi ad avanzare.
Avanzai.
Arrivai alla macchina.
Afferrai la maniglia della portiera e tirai.
L’uomo all’interno dell’abitacolo non respirava.
Era morto.
Ne reclinai la testa per riuscire a vederne il volto.
Ero io.
Lo lasciai di scatto, squassato dal tremore.
Poi iniziai a singhiozzare.
Infine, mi voltai verso il vecchio.
Lo vidi annuire, con espressione grave.
Tornai indietro e presi nuovamente posto di fianco a lui, accasciandomi sul sedile.
- Chi è lei? - gli domandai con un filo di voce.
- Mi chiamo Caronte - rispose.
- Capisco - dissi. - Adesso capisco tutto.
Lui annuì di nuovo.
Poi mise in moto e ripartì.
Il tunnel proseguiva, e proseguiva, e proseguiva.
- Dove stiamo andando? - gli chiesi a un certo punto. Ero calmo, adesso, nonostante tutto.
- Dove già stava andando quando era ancora vivo - mi rispose.
Ci riflettei un istante.
- Da nessuna parte - dissi.
E Caronte, sorridendo, annuì.
OK, se ho capito bene, alla fine del tunnel c'+ un immenso nulla, Vedo che Caronte si è modernizzato (forse stanco di remare da secoli), ma non cambia la sua funzione." Lasciate ogni speranza voi che entrare..." nel tunnel.