Seconda puntata di quattro
Come un amico
Dopo i dischi dei Beatles, sono arrivati quelli dei Led Zeppelin. Dal pop rock all’hard rock. Ma adesso sei alla ricerca di qualcos’altro. Sai che si chiama punk, ma non sai come suona.
Un giorno, mentre sei lì che cazzeggi nel parcheggio del centro commerciale, si presenta un tizio e ti allunga un volantino. C’è scritto che la sera dopo in quel parcheggio ci sarà un concerto rock. La sera dopo, il tipo del volantino suona il basso, la band si chiama Melvins e tu conosci finalmente il punk. Rumoroso, veloce e pesante. Emozionante. Te ne innamori e corri dal barbiere a farti fare una bella cresta. Per poi rimanere incollato ai Melvins come un’ombra, ogni prova e ogni concerto.
Adesso che sai cos’è il punk, ti manca solo qualcuno con cui suonarlo. Cerchi in giro per Aberdeen, ma tra tutti quei ragazzi retrogradi aspiranti boscaioli non trovi nessuno interessato a formare una band. Finché un giorno ti presentano uno spilungone che non è di Aberdeen e da quando è arrivato in città, pochi anni prima col padre commerciante di legname, non fa altro che pensare a come andarsene: ha due anni più di te e si chiama Krist. Dopo Boddah e Meyer, hai trovato un nuovo amico.
Con lui, condividi tutto. Dalle sigarette agli atti vandalici. Ve ne andate in giro la notte a scrivere sui muri e sulle auto cose tipo “Dio è gay” e “Il Presidente è deficiente”, e il giorno dopo ve la spassate osservando le facce scandalizzate dei perbenisti che leggono le vostre verità.
Quello che non ti riesce, però, è convincere Krist, almeno lui, a formare una band. Krist ha i tuoi stessi gusti in fatto di musica e suona il basso che è un piacere. Basterebbe trovare un batterista e il gioco sarebbe fatto. Ma Krist non ci crede. Non crede che ci sia spazio per voi due, in quella landa desolata. E allora tu provi a spiegargli.
Gli spieghi che stai lavorano su qualcosa di originale. Sempre punk. Ma il suono è tuo. I testi tuoi. Niente di copiato da nessuna parte. Qualcosa di diverso dal resto. Uno stile personale.
Una sera gli dici che stai finendo di comporre il tuo primo brano. Gli dici che parla di masturbazione. Gli dici che userai dei giochi di parole e che chi ascolta non capirà se si sta parlando del tuo pene o della tua chitarra.
“Ah, sì?”, fa Krist divertito, alzando un sopracciglio. “Beh, sono curioso di sentire come fa”.
Come un vecchio nemico
L’energumeno con cui s’è messa tua madre dopo il divorzio da tuo padre è un paranoico schizoide. Quella sera, dopo aver salutato Krist, torni a casa e lui ti mena perché sei rientrato tardi. Ti mena più forte del solito e tu la mattina seguente te ne vai di casa, da tuo padre. Pure lui s’è rifatto una vita con un’altra, ma non è lei che ti sta sul cazzo: è proprio lui, tuo padre. Che è un conformista ipocrita e con te è inflessibile e ti punisce alla minima sciocchezza. Reggi qualche giorno e poi te ne vai anche da lì, cercando riparo dai nonni. Tuo nonno però è una grandissima testa di cazzo che d’aspetto somiglia a Breznev e che al massimo della sua intelligenza arriva a fare battute razziste. Tu per lui sei troppo indisciplinato e in pochi giorni ti caccia di casa.
Adesso sei sulla strada. Sei incazzato con tutto e tutti. Hai persino dimenticato il tuo sogno di diventare una rockstar. Il tuo amico Krist. La promessa di fargli sentire come fa quel brano. Pensi solo che avresti voglia di andartene lontano da tutti gli stronzi che non ti capiscono e che tu non capisci.
Passeggi lungo il fiume Wishkah e passi vicino a una delle tante segherie della città, tutte uguali, tutte grigie, tutte produttive. Eccolo lì, Mr. Baffone. Un taglialegna di quasi cento chili che già altre volte ti ha dato noie nei vicoli di Aberdeen perché pensa che tu sia frocio e lui odia i froci. Gli passi vicino e, per farlo incazzare, lo guardi e ti passi la lingua sul labbro. E poi gli fai l’occhiolino. Quello molla la sega e con un paio di falcate ti è addosso. Inizia a picchiarti con la sua mano enorme. Botte sul tuo viso biondo, botte sulla tua schiena scoliotica. Tu non reagisci e anzi gli sorridi, mostrandogli il dito medio ogni volta che lui ti sbatte per terra. Alla fine, il bestione ci perde gusto e se ne va. Tu resti lì bocconi a sputare sangue. Ti senti uno sfigato masochista. Poi ti rialzi e te ne vai.
Continuando a costeggiare il fiume, arrivi al ponte e noti che pochi metri sotto la pavimentazione, vicino ai sostegni in cemento, c’è uno spiazzo, una specie di cavità ricavata nella terra scura. Sei stanco di camminare e poi non sai nemmeno dove andare. Scendi e t’infili lì dentro.
Non si sta poi male, così, a guardare il fiume che scorre limaccioso, lento, quasi immobile. Lontano da tutto e tutti. Al sicuro. Ti sembra di poter restare lì per sempre, a catturare piccoli animaletti, a cibarti d’erba e pesci, a scrutare la strada rimanendone distante. Decidi che quella notte dormirai lì.
Sotto quel ponte ti torna la voglia di dire la tua. Hai con te una bomboletta spray e prima che cali il buio ti metti a scrivere sui sostegni in cemento. Tutte le cose che da tempo ti ronzano in testa.
“Sono uno sfigato masochista”.
“Se non ti dispiace vorrei perdere”.
“Nessuna tregua”.
“Servono più nemici”.
“Mi sento stupido e contagioso”.
“Do il peggio quando faccio del mio meglio”.
“Perderemo ma non ci annoieremo”.
“Vieni come sei”.
“Non dobbiamo procreare”.
“Devo trovare una via migliore”.
“Non so perché”.
“Cosa sto cercando di dire?”.
“Ogni balia rifiuta di nutrirmi”.
“Stuprami ancora”.
“Sono imbecille, o forse soltanto felice”.
“Trova il tuo posto, di’ la verità”.
“Tutti sono gay”.
“Che altro potrei essere?”.
Lo spray è quasi finito, il buio è ormai calato. Riesci a malapena a rileggere quello che hai scritto. Trovi che quelle non siano opinioni, e nemmeno parole sagge. Sono solo una denuncia. Della tua vana ricerca d’affetto. Della tua inconcludenza. Della tua vergogna. Della tua mancanza d’ispirazione. Non sono nemmeno poesia. Solo un gran mucchio di merda. Come te.
Torni nel tuo antro e chiudi gli occhi. Non senti il freddo. Ti dimentichi persino di te stesso. Ti concentri solo sulle piccole forme trasparenti che si muovono sulla membrana esterna dei tuoi occhi, sotto le palpebre. Le segui spostando la pupilla verso il basso. Sono molto rapide. Le segui ancora per un po’, poi ti addormenti.
Come un vecchio ricordo
Accucciato sotto quel ponte, hai parecchio tempo per ricordare. Guardando il fiume, ti torna in mente una notte di qualche tempo prima, quando, poco più a valle, dove il Whiskah lambisce il quartiere povero di Aberdeen e scorre vicino alla casa di tua madre, lei gettò nelle sue acque un bel mucchietto di armi. Aveva scoperto che il suo nuovo fidanzato, il paranoico schizoide, la tradiva. Fuori di sé, gli aveva puntato una pistola alla tempia. L’avevi guardata mentre cercava di caricare l’arma, senza riuscirci. Alla fine, esasperata, aveva preso quella pistola e tutte le armi che c’erano in casa ed era corsa a buttarle nel fiume. Il giorno dopo, tu pagasti due ragazzini per ripescarle. Riuscisti a rivenderle per un buon prezzo e con il ricavato comprasti un amplificatore.
Con le segherie e la birra, le armi sono il simbolo del vuoto di Aberdeen. Come ogni buon padre “made in USA” che si rispetti, anche il tuo ha provato a insegnarti a usarle. Perché ogni ragazzo “made in USA” può dirsi maturo solo quando riesce a fare bene tre cose: correre su qualche campo da gioco, scopare e sparare.
Ti ricordi di quando, alcuni anni prima, tuo padre ti portava con sé alle battute di caccia e di quando ti mise per la prima volta in mano il fucile. Tu lo afferrasti e lo trovasti fastidiosamente pesante. Prendesti la mira su un cervo e alla fine ti rifiutasti di sparare. Non ti andava l’idea di ucciderlo. Riconsegnasti il fucile a tuo padre. Lui era incredulo e infastidito. Ti domandò qual era il motivo. Tu gli rispondesti che quell’oggetto non faceva parte del tuo mondo. Che preferivi imbracciare la chitarra. E giurasti a te stesso che non avresti mai avuto un’arma.
Il tuo mondo, la chitarra. Ti guardi attorno e di colpo ti senti stufo del tuo rifugio sotto quel ponte, della sua umidità e del suo freddo. Ti alzi e coi rimasugli di vernice dentro la bomboletta spray scrivi le tue ultime parole: “È giunto il momento che lo stupido se ne vada”.
Torni sulla strada e t’incammini a passo svelto. Stai andando da Krist, a fargli ascoltare come fa quel brano.
Fine della seconda puntata
La terza verrà pubblicata il 26 febbraio 2022