C'erano Babbo Natale, Superman, Gesù... (2)
Una storia che sa di roba in scatola, video-chiamate difficili e pulsanti rossi
Seconda e ultima puntata
In sogno ricevetti la visita di Babbo Natale, Superman e Gesù. Gli eroi della mia infanzia.
- Ciao Babbo Natale, ciao Superman, ciao Gesù - dissi.
- Ciao Gianni - risposero in coro.
- Ma... voi cosa ci fate qui?
- Siamo venuti a portarti un dono - disse Babbo Natale con voce flautata.
- Ma... Natale è fra tre mesi! - risposi io con pedanteria.
- Non importa, Gianni, per te è sempre Natale - disse, e a quel punto estrasse da un sacco di tela una specie di piccolo scrigno quadrato, simile a quelli che in genere contengono anelli molto preziosi. Lo aprì e sotto i miei occhi luccicò quella che mi parve una specie di pulsantiera, che aveva un solo bottone. Rosso.
- Che cos’è? - domandai rapito.
- È il Bottone Fine di Mondo - intervenne Superman con voce forte. - Si trovava esattamente al centro della Terra. L’ho recuperato scavando un tunnel profondissimo a colpi di raggi laser, sfidando temperature infernali e un’oscurità indicibile. L’ho fatto solo per te.
- Ma... come mai si trovava al centro della Terra? - domandai.
Superman parve spiazzato da quella domanda.
- Non lo so - rispose dopo averci pensato qualche istante. - Questo sogno è tuo, mica mio.
- Già... - dissi meditabondo, guardando il bottone rosso. - E cosa dovrei farci?
- Salvare l’umanità - intervenne Gesù con voce celeste. - Se decidi di premerlo, un istante dopo internet scomparirà. E il mondo tornerà di colpo agli anni Ottanta, l’epoca d’oro della tua infanzia, quando internet non c’era.
- Ma... com’è possibile? Voglio dire, qual è il meccanismo? - domandai.
Anche Gesù parve spiazzato dalla mia inguaribile puntigliosità, e mi rispose all’incirca come aveva fatto Superman.
- D’accordo - dissi. - Lo faccio. Ma perché proprio io? Perché avete scelto proprio me? Io non credo più in voi da un sacco di tempo...
- Perché non è importante che tu creda in noi - risposero in coro - ma che noi crediamo in te.
Commosso dal grande cuore che avevano i miei eroi, posai il dito sul bottone e premetti.
A quel punto mi svegliai. Era l’alba. Più stanco di quando mi ero addormentato e già dimentico di quello strambo sogno, mi alzai a fatica dal divano e mi trascinai in cucina. Diedi a Trottola i suoi croccantini e poi preparai qualcosa anche per me.
Prima di sedermi a mangiare, recuperai lo smartphone e ne ripristinai la suoneria. La solita mitragliata di messaggi, tuttavia, non arrivò. Stupito, diedi un’occhiata e mi accorsi che non era solo Whatsapp a non funzionare, ma ogni app installata sul telefono, compreso il browser per navigare su internet. Pareva non esserci connessione dati. Strano, pensai, a casa non mi era mai capitato. Andai a controllare il router Wi-Fi: era acceso, ma la spia di internet segnava rosso. Pazienza, mi dissi, e finii di fare colazione. Senza messaggi né notizie a inframmezzarla, mi parve più rigenerante del solito.
In auto, diretto in stazione, rilevai che la connessione dati mancava anche fuori casa mia. Quando arrivai al binario, la gente, agitatissima, non parlava d’altro. Nessuno poteva più connettersi a internet. Il tabellone degli arrivi e delle partenze era privo di dati, e il treno arrivò in ritardo.
Trovai l’ufficio nel subbuglio più totale. Nessuno, senza internet, poteva lavorare. In preda all’ansia, erano tutti radunati attorno a una vecchia radio analogica, che fino a quel momento era rimasta in ufficio con funzione più che altro d’arredo. Il giornale radio stava trasmettendo le ultime notizie. A quanto pareva, il black out di internet era mondiale, e le ragioni erano oscure. Semplicemente, la rete aveva smesso di funzionare.
Fu a quel punto che, con un sorriso, mi ricordai del mio strano sogno. Babbo Natale, Superman, Gesù. Poteva essere? Euforico, decisi di prendermi un giorno di ferie, salutai tutti e lasciai l’ufficio.
Girovagai un po’ per la città, stranamente più vuota del solito, poi m’infilai in un bar, ordinai un caffè e iniziai a leggere un giornale. Non lo facevo da tempo e mi parve un’azione in qualche modo sovversiva, oltre che gratificante. Del black out di internet, avvenuto nottetempo, sul giornale non c’era traccia. Le notizie che leggevo mi parvero echi da un mondo ormai lontano, un mondo che non c’era più.
Dopo la lettura, decisi di telefonare a Donatella. Senza internet, nemmeno lei, allo studio di avvocati, poteva lavorare. Le proposi di prendersi un giorno di ferie come avevo fatto io, e di vederci per pranzo al nostro ristorante preferito. Lei, sorprendentemente, accettò.
Fu un incontro piacevole. Per la prima volta dopo tanto, troppo tempo, parlammo con calma, faccia a faccia, senza interruzioni. Non posso dire che decidemmo di tornare assieme, questo no, ma semplicemente di congelare ogni decisione e di rivederci ancora. Ci salutammo con un bacio.
Sentendomi sempre più leggero, decisi di trascorrere il pomeriggio in biblioteca, dove nemmeno ricordavo l’ultima volta che ero entrato. Lì, immerso in un silenzio meraviglioso, riuscii a leggere un centinaio di pagine del romanzo che mi portavo in borsa da mesi senza mai essere riuscito nemmeno ad aprirlo. Volarono così quattro ore, poi decisi di rincasare.
Dopo una cena che mi applicai per rendere meno squallida del solito, mettendomi addirittura a cucinare (frittata con le verdure e patate al forno, nulla di che ma a me parve roba da gourmet), ricevetti la telefonata quotidiana di mia madre. Dal vecchio telefono fisso, stavolta. Potemmo finalmente concederci una conversazione degna di questo nome. Non ci dicemmo nulla di importante, certo: erano le solite cose, ma le capimmo! Senza la frustrazione che tipicamente mi assaliva al termine delle video-chiamate con lei, la salutai felice e le diedi appuntamento all’indomani.
A quel punto, senza le tentazioni ammaliatrici delle piattaforme on-line, decisi di alzarmi dal divano e sedermi alla scrivania, a fare ciò che da tempo non avevo più nemmeno il coraggio di pensare: mettermi a scrivere. Era una cosa che si poteva fare anche senza internet, e la feci. Andai avanti per tutta la notte e partorii questo racconto.
Fu proprio quando arrivai al punto del precedente paragrafo, dopo la parola “racconto”, che mi svegliai. Davvero, stavolta.
Che sogno assurdo, pensai frastornato. E deluso. Perché quel sogno, iniziato con gli eroi della mia infanzia e andato avanti come la vita che avrei voluto vivere e non vivevo, era stato tanto assurdo quanto bello.
Con gesto automatico, presi lo smartphone e riattivai la suoneria. La mitragliata di messaggi su Whatsapp ferì il mio canale uditivo manco fosse il colpo di un cannone. La mia solita vita, pensai affranto, ricominciava.
All’improvviso, in un impeto d’ira e orgoglio insieme, mi dissi che no, non sarebbe andata così. Non sarebbe ricominciato tutto di nuovo. Babbo Natale, Superman e Gesù credevano in me e io non potevo deluderli.
Afferrai lo smartphone e lo gettai nel bidone dei rifiuti elettronici. Poi mi dissi che non era abbastanza, perché in un momento di debolezza avrei potuto ricaderci e recuperarlo. Allora scesi in garage, presi un martello, tornai di sopra, tirai fuori lo smartphone dal bidone, lo posai sul tavolo della cucina e lì, sotto lo sguardo impaurito di Trottola, iniziai a percuoterlo con infinita soddisfazione, più forte che potevo, come fossi una delle scimmie di Kubrick, fino a ridurlo in poltiglia.
A quel punto, esausto ma felice, iniziai a fare colazione. Forse, pensai, la giornata che mi aspettava non sarebbe andata esattamente come quella del mio sogno. Ma sarebbe stata diversa. Migliore. Reale.
Verissimo. Anche noi d’altra parte pubblichiamo qui su internet!
Il sogno di cancellare Internet è, appunto, un sogno, ma cancellare la dipendenza può veramente cambiare il corso della vita.
Ed eccomi qua a risponderti via Internet:-)