Seconda e ultima puntata
La pioggia proseguiva a battere sul marciapiede. La gente camminava evitando le pozzanghere. Andavano tutti di fretta. Chissà dove. Chissà perché.
Dopo mezzogiorno iniziarono a entrare quelli degli uffici, per la pausa pranzo. In quel bar facevano anche da mangiare. Roba precotta, panini e insalate. In breve fu pieno.
Al tavolo vicino al mio sedettero due uomini e una donna, tutti e tre ben vestiti. Gli uomini ordinarono un piatto di pasta a testa, la donna un’insalata. Da bere, acqua. Decisi anch’io di mangiare e ordinai una birra e un panino al prosciutto.
I tre parlavano di lavoro. O meglio d’una loro collega. Proprio cretina, la Gasperini, convennero. Se il capo alza le mani, disse la donna, lo denunci solo se hai il culo parato. Altrimenti devi lasciarlo fare. E invece quella s’è messa a fare la giovanna d’arco ed è finita cornuta e mazziata. Proprio una cretina, ripeterono. Uno dei due uomini rivelò ch’era toccato anche a sua moglie esser molestata dal capo, e che era stato proprio lui, il marito, a suggerirle di lasciar perdere. E poi le molestie sono andate avanti?, gli chiesero. Non lo so, rispose, mia moglie non m’ha più detto nulla e io ho preferito non tornare sull’argomento. Hai fatto bene, gli disse l’altro uomo. Figuratevi, disse la donna, che è capitato pure a me. Gli altri due la fissarono stupiti. Nei nostri uffici?, chiesero. No, disse lei, sul lavoro di prima. E quindi?, la incalzarono. Quindi niente, rispose lei, ho lasciato fare: ero in carriera, mica potevo rischiare. Lo sei anche adesso, le fece notare uno dei due con malizia. E allora?, chiese lei. Allora, disse quello, se alzo le mani io, lasci fare pure a me? Risero. Ordinarono il caffè, bevvero, pagarono e uscirono.
Dopo pranzo, il bar s’era svuotato.
Presi in mano il quotidiano locale. Le solite notizie.
E fuori continuava a piovere.
Entrò una coppia giovane. Lui accigliato, lei carina. Si sedettero e ordinarono qualcosa di caldo insieme a due fette di torta. In quel bar c’era pure la torta. Mangiarono e bevvero guardandosi poco e parlandosi per niente. Pagarono e uscirono.
Il barista puliva i suoi bicchieri.
Io avevo cambiato quotidiano e ora leggevo quello nazionale. Le solite notizie.
E fuori continuava a piovere.
A metà pomeriggio la porta del bar si aprì e lasciò entrare due uomini. Uno in giacca e cravatta, l’altro senza. Non si sedettero al tavolo di fianco al mio, ma a quello dopo. Parlavano piano, ma ogni tanto quello in giacca e cravatta alzava la voce. Così riuscii comunque a sentire parte di quello che si dissero. Giacca e cravatta era incazzato nero. Non ci si può far beccare così da coglioni, disse all’altro. Questi non rispose. Se ne stava ad ascoltare mesto, col capo chino. La questione pareva riguardare un certo carico. Un camion. Un sequestro. Un processo penale in vista. I camion devono arrivare di notte, esclamò giacca e cravatta sbattendo il pugno sul tavolo. Perché quello stronzo è arrivato all’alba? Io pago, pago, pago tutti quanti, urlò, ma poi anche gli altri devono fare il loro lavoro. I terroni non possono fare il cazzo che vogliono, aggiunse. Con loro dobbiamo chiudere. L’altro si spaventò. I terroni hanno me come tramite, piagnucolò, e quella è gente che non scherza. Sono cazzi tuoi, gli rispose giacca e cravatta, io ho fatto il possibile per tenerti lontano dai guai, ma adesso non posso fare più niente. La vostra merda, concluse, la porti in giro qualcun altro. Poi si alzò e uscì dal bar, senza pagare. L’altro rimase per qualche minuto seduto al tavolo, lo sguardo perso oltre la vetrata, rivolto al buio che cominciava a piombare sulla città come una belva feroce. Infine, con movimenti molto lenti, si alzò pure lui, saldò il conto e se ne andò.
Buttai l’occhio alla televisione. Era sintonizzata senza volume su uno di quei talk show pomeridiani che avevo sempre trovato noiosissimi. La conduttrice però era un gran bel pezzo, e rimasi a fissarla sullo schermo per qualche minuto. Poi mi venne a noia pure lei e ordinai da bere.
All’ora dell’aperitivo serale il bar tornò ad affollarsi. Vicino al mio tavolo s’erano seduti tre operai. Avevano appena staccato. Erano ancora in abiti da lavoro. Probabilmente, pensai, venivano dal cantiere del nuovo grattacielo, lì vicino. Bevevano birra e parlavano di negri. I negri ci fottono il lavoro, dicevano. Per un certo periodo anch’io avevo lavorato in edilizia e mi meravigliai. Non c’erano negri, sui cantieri. Poi però capii che quei tre usavano il termine negri per indicare tutti gli stranieri, inclusi i bianchi dell’Est Europa. Bisogna fermarli, disse uno. E come?, chiese l’altro. Sparandogli, fu la risposta. Purtroppo non si può, ribatté l’altro. Bisognerebbe aiutarli a casa loro, s’inserì il terzo. Che vuoi dire?, gli chiese il primo. Dargli dei soldi per aiutarli a sviluppare le fabbriche e tutto il resto nel loro Paese, rispose quello, così non vengono più a rompere i coglioni qui da noi. Gli altri due protestarono. Noi dovremmo dare i nostri soldi ai negri?, domandarono infervorati. Già si fa fatica ad arrivare a fine mese, figurarsi se poi ci mettiamo pure a fare beneficenza. Non voi, cretini, disse il terzo, lo Stato. E le tasse allo Stato chi le paga, imbecille?, gli chiesero gli altri due. Il terzo non rispose subito, ci pensò un po’ su, era confuso. Avete ragione, disse infine. Negri di merda, aggiunse. A quel punto cambiarono argomento, passando a parlare dell’Italia che non s’era qualificata ai mondiali di calcio. Uno di loro disse che se in campo ci andava lui, da solo avrebbe fatto meglio di tutti e undici quegli scarponi messi assieme. Puoi dirlo forte, dissero gli altri due. Poi se ne andarono anche loro.
Quel bar aveva un solo difetto: chiudeva. Alle otto meno dieci non era rimasto più nessuno. Solo io e il barista. Era un tipo puntuale, il barista. Calava la serranda tutte le sere alle otto spaccate. Mi accorsi con la coda dell’occhio che mi stava fissando. Forse dovevo dire qualcosa, riflettei. Ci pensai per qualche minuto, ma non mi venne nulla da dire. Allora mi alzai, pagai, lo salutai e uscii.
Lì fuori pioveva ancora.
E io non avevo l’ombrello.