Vacanza alternativa
Una storia che sa di pomeriggi infuocati, cripte dimenticate e dotti impazziti
Umbria, luglio, quattro e mezza del pomeriggio, 35 gradi, dice il termometro della piazza.
Vacanza cosiddetta alternativa. Che poi, alloggiati con piscina vista colli, alternativa un cazzo.
Comunque, siamo a Spoleto. Festival dei Due Mondi, che ormai, dopo mezzo secolo d’inesorabile globalizzazione turbocapitalista, di Mondi non ce n’è più Due, ma Uno.
Scappiamo dal centro, dalle sue pietre antiche e infuocate.
Non dal degrado, tutto sommato contenuto (quello delle vetrine e degli altri mercimoni, s’intende). E nemmeno dalle folle, che non ci sono, forse liquefatte, forse in arrivo per la serata.
Scappiamo dal vuoto.
Scappiamo dal nostro viaggiare routinario, senza sussulti, scontato.
Ecco l’auto.
Cinque del pomeriggio, 36 gradi, dice il termometro di bordo.
Impostiamo il navigatore sull’ultima meta di giornata: la basilica longobarda. Patrimonio UNESCO. Imperdibile, dice la guida, quella guida famosa che rende identica l’esperienza di vacanza alternativa di migliaia di vacanzieri come noi.
Il navigatore si sbaglia. Finiamo su una sterrata larga quanto l’auto.
Ne veniamo fuori, in qualche modo, ed ecco la chiesa. Solo che non è quella UNESCO, è un’altra.
Pare bella lo stesso, però, a vederla da fuori, attraverso il parabrezza.
La guida parla anche di quella, c’è una cripta con affreschi di pregio, dice. Cripta uguale fresco. Andiamo.
La facciata.
L’ingresso.
Entriamo.
Ed ecco lui.
Lui è il protagonista di questo racconto che non è un racconto ma il passatempo di una serata troppo calda a bordo piscina.
Lui.
Ai piedi dell’altare.
Vestito di nero, ma non è il prete. Maglietta nera, un po’ larga, un po’ vecchia, un po’ sudata. Pantaloni neri, lunghi, di una foggia che non va più di moda saran cinquant’anni.
Barba pure nera. Mica di quelle barbe del cazzo che si vedono oggi, tutte perfette, limate, scolpite, cesellate, barbe da hipster. La sua è una barba incolta, vera, di quelle che se ci finisce dentro qualcosa non lo trovi più.
Occhi spiritati. Di quelli che li guardi e dici: “È matto”.
Ci ha accolti dicendo qualcosa che non ricordo e che non è importante ricordare qui, qualcosa che voleva suonare amichevole. Ricordo solo che lo ha fatto a voce alta, molto alta, parole che hanno squarciato il silenzio tombale del pomeriggio e hanno echeggiato sinistre dentro la chiesa.
E ricordo che in mano aveva un libro minuto, e che ogni tanto ci buttava l’occhio e leggeva, senza smettere di parlarci, come se quello che ci diceva si trovasse scritto lì, dentro quelle pagine.
Ci invita a visitare la chiesa, o meglio ce lo ordina. La cripta bisogna vederla, ci dice. Laggiù fa molto fresco, ci conferma, e tanto ci basta. Andiamo.
Siete sardi, ci domanda senza una ragione apparente, mentre fa strada. No, veniamo da Trento, rispondiamo, e lui ci dice che è una coincidenza perfetta, perché nella cripta c’è affrescato il Simonino, il santo di Trento, che in Italia si trova affrescato solo in due posti: Trento e Spoleto. Mica siamo religiosi, noi. Figurarsi il culto del Simonino. Ma abbiamo caldo. Scendiamo.
Cinque e mezza del pomeriggio, 20 gradi, ci dice lui.
Poi inizia a spiegarci. Occhi sempre spiritati, voce sempre alta. Eloquio fluente, colto.
Il Simonino lo tiene per ultimo, intanto ci mostra gli altri affreschi: la vergine, San Michele.
Poi ci fa notare la pavimentazione originale di tanti secoli fa, e una colonna col capitello posto alla base, cosa che si può vedere solo in sette chiese in tutta Italia, dice. Non fossimo qui, segnalerebbero la cosa fin dall’autostrada, dice, ma qui se ne fregano, ci boicottano, non ci sono segnalazioni, qui ci arrivi per caso. Vero, confermiamo, ci siamo arrivati per caso anche noi, volevamo vedere la basilica longobarda patrimonio UNESCO, poi il navigatore si è sbagliato e siamo finiti lì. Annuisce, dice che sono decenni che aspettano che il Comune migliori la segnaletica, ma loro non mollano, loro vanno avanti.
Loro chi, ci domandiamo. Ma non glielo chiediamo.
Lui sembra uno di quei religiosi estremamente dotti che poi da un giorno all’altro impazziscono, e li mettono a fare i custodi di chiese dove non va mai nessuno.
Continua a ripetere che, da quando l’altra chiesa è diventata patrimonio UNESCO, qualche visitatore arriva anche lì da loro, altrimenti non verrebbe nessuno. Eppure gli affreschi sono belli, eppure quel capitello alla base della colonna è raro...
Poi, di colpo, ci chiede se abbiamo figli. No, gli rispondiamo. Ne farete, domanda. Chi lo sa, gli diciamo. Annuisce.
Poi ci porta finalmente davanti al Simonino, e nuovamente sfoggia il suo vasto sapere, occhi sempre più spiritati, voce sempre più alta. La cripta riluce di quel bagliore, rimbomba di quel suono.
Fine delle spiegazioni. Risaliamo. Usciamo.
La botta del caldo, dopo la cripta, è terribile.
Laggiù i venti gradi sono costanti, ci dice lui: fresco d’estate, caldo d’inverno. Un posto dove vivere, pensiamo noi, già boccheggianti. E poi pensiamo che lui, in qualche modo, ci vive davvero.
Grazie tante, gli diciamo.
Lui non sorride, non ha mai sorriso da quando lo abbiamo incontrato.
Un’offerta, domanda.
Un’offerta, ripetiamo noi, spiazzati. Ma certo, un’offerta.
Frugo nel portafoglio, gli porgo il denaro. Lui ringrazia e torna in chiesa, sparendo per sempre dalla nostra vista.
Torniamo alla macchina.
Sei di sera, 37 gradi.
L’aria condizionata.
Il viaggio di ritorno.
L’alloggio.
La piscina.
La vacanza alternativa.
Tutto prevedibile.
Tutto falso.
Tranne quel matto, in quella chiesa dove non va mai nessuno.
bella, una storia che sa di Buzzati
Reportage di viaggio molto suggestivo e per niente omologato. Grazie Tersite