Un giorno di ordinaria povertà
Una storia che sa di biscotti vecchi, stanchezza arretrata e portafogli vuoti
Questa mattina mi son svegliato.
Come in quella canzone che cantano tutti.
Solo che non avevo belle da salutare, io.
Ho fatto colazione - un thé e qualche biscotto vecchio - e poi sono uscito per andare al lavoro. Ero già stanco. Sono stanco da tanto tempo, io. Cinque anni, o forse dieci.
Davanti alla fermata dell’autobus è passato un tizio su un macchinone. È passato su una pozzanghera a tutta velocità e mi ha bagnato. Lo aveva visto, che c’era la pozzanghera. E che c’ero io, alla fermata. Solo io. Stronzo, gli ho urlato. Aveva il finestrino abbassato e ha sentito. Si è fermato ed è sceso dalla macchina. Si è avvicinato. Cos’hai detto?, mi ha chiesto. Stronzo, gli ho ripetuto. Mi ha messo le mani addosso. E io mi sono difeso. Poi è successo.
Non ci sono mica andato, dopo, al lavoro. Quel lavoro di merda, sottopagato e sfruttato, era da tanto che pensavo di lasciarlo. Sono andato al bar, invece. Ho ordinato un bicchiere di vino. Non sono uno che beve, io, però in quel momento mi ci voleva. Non serviamo alcolici la mattina, mi ha detto il padrone del bar. Ma io sapevo che non era vero. Ai tuoi amici dai da bere a tutte le ore, gli ho detto. Non l’ha mica presa bene. Voleva sbattermi fuori dal locale, che tanto c’eravamo solo noi due e nessuno sentiva né vedeva... E allora è successo di nuovo.
Ho girato a vuoto per un po’, dopo. Poi sono andato a casa dello spacciatore. Sei tornato, mi ha detto ghignando. Avevo lavorato per lui, qualche tempo prima. Sottopagato e sfruttato pure lì. Tutti i lavori erano così. Che cazzo vuoi?, mi ha chiesto. Lavoro, gli ho risposto. Mi ha riso in faccia. E quello pulito?, mi ha chiesto, senza smettere di ridere. Finito, gli ho risposto. Ha continuato a ridermi in faccia, più forte. Vattene, mi ha detto alla fine, sei inaffidabile. Ho insistito. Per favore, gli ho detto. Vattene, ha ripetuto. E mi ha sputato in faccia. A quel punto è successo di nuovo.
Poi, non sapendo cosa fare, ho deciso di tornarmene a casa. Sulle scale del palazzo ho incontrato il proprietario dell’appartamento. Devi pagarmi l’affitto del mese scorso, ha urlato quando mi ha visto. Ti pago domani, gli ho detto. Ho aperto la porta e lui mi ha seguito fin dentro. Lo tieni da schifo, sto posto, mi ha detto. Se domani non mi paghi, ha aggiunto, ti sbatto fuori, pezzo di merda. Io non ho risposto e ho chiuso gli occhi. Mi sentivo stanco. Molto stanco. Hai capito, bastardo?, mi ha detto, dandomi una manata sulla spalla. Mi faceva male, la spalla. Il lavoro sui cantieri - fino a dieci ore al giorno, sabati e domeniche incluse - l’aveva ormai messa fuori uso. Hai capito?, ha ripetuto, colpendomi ancora. Ed è successo di nuovo.
A quel punto ho sentito fame, ma in casa non c’era niente. Sono sceso all’alimentari di sotto. Ho preso solo un chilo di riso e sono andato alla cassa. Un euro e novanta centesimi, ha detto la padrona del negozio, guardandomi male. Ho aperto il portafogli, ma avevo solo qualche moneta. Le ho contate, ottantaquattro centesimi in tutto. Posso portarti il resto domani?, le ho chiesto. No, mi ha risposto. Anzi, da oggi a te non vendo più niente finché non paghi tutti i tuoi debiti. Quanto ti devo?, le ho chiesto. Sei in arretrato di... - ha guardato su un taccuino - dodici euro e cinquanta. Te li porto domani, ho detto. Quando me li porti avrai il riso, ha detto lei. E adesso vattene che mi spaventi la clientela. Mi sono guardato intorno. Ma non c’è nessuno, le ho detto. E allora spaventi me, ha detto lei. Poi si è messa a ridere. Ed è successo di nuovo.
Non mi restava che far visita al capo. Anzi, ex. Sono uscito dal negozio e mi sono incamminato verso il cantiere dove avrei dovuto presentarmi quella mattina. Coglione, dov’eri finito?, mi ha chiesto il capo, anzi ex, quando mi ha visto, dentro il container dove aveva il suo ufficio. Mi licenzio, gli ho detto. No, ti licenzio io, ha urlato lui. Ne ho piene le palle dei tuoi ritardi, ha aggiunto. Sei lento. Tanto grosso quanto lento. E incapace. Sei un debito. Vattene che è meglio. Prima dammi i miei soldi, gli ho detto. Quali soldi? Quelli delle ultime due settimane di lavoro. Si è messo a ridere. Niente soldi, mi ha detto, li hai bruciati tutti in multe. Quali multe?, gli ho chiesto. Quelle per i ritardi. Quali ritardi? Quelli che hai fatto da quando lavori qui. Ce ne sarebbe per toglierti due mesi di paga, altro che due settimane... Ho respirato molto profondamente. Non mi sentivo bene. Avevo bisogno di dormire e di mangiare. Ti prego, gli ho detto. Si è rimesso a ridere. Mi preghi? Ma per chi mi hai preso? Per il tuo dio del cazzo? Ma vattene, va’, negro di merda. Ho chiuso gli occhi. E poi è successo. Di nuovo.
È stato quando sono uscito dal container che ho sentito le sirene. Poi ho visto i lampeggianti. Allora sono tornato dentro e mi sono seduto ad aspettarli.
Tosto
Bello bello bello