"Un altro giro" di Thomas Vinterberg (2020)
Un film anti-borghese che al tasso di alienazione preferisce quello alcolico
Martin, un professore di scuola superiore, scopre che i suoi studenti, i suoi coetanei e persino sua moglie lo trovano noioso, apatico, cambiato. Non è sempre stato così: è stato un docente brillante e un compagno appassionato, quando era più giovane, ma ora è come spento. D'accordo con i colleghi e amici Tommy, Nicolaj e Peter, decide allora di cominciare, insieme a loro, a bere regolarmente ogni giorno, per supplire alla carenza di alcol che l'uomo si porta dietro dalla nascita, secondo la teoria del norvegese Finn Skårderud. L'esperimento, che ha anche un'aspirazione scientifica, comincia subito a dare i primi frutti e Martin torna a essere un insegnante apprezzato e speciale. Ma gli amici rilanciano aumentando il tasso alcolico, e le cose prendono un'altra piega.
Perché vederlo
Perché Thomas Vinterberg, da pari suo (nato in una comune, è stato co-firmatario ormai trent’anni fa del manifesto “Dogma 95” con Lars Von Trier), ha fatto un film che, mascherato da innocuo dramma sulla crisi di mezza età di quattro insegnanti quarantenni, è un oggetto radicalmente anti-capitalista e anti-borghese. Perché, dopo aver mostrato la morte-in-vita dei quattro protagonisti (quella morte-in-vita dovuta al tasso di alienazione che il capitalismo esige da ciascuno per ragioni di efficienza e massimizzazione del profitto), le ha contrapposto la visione della vita-riconquistata-a-rischio-della-morte, andando contro l’ordine, gli schemi e i valori borghesi, preferendo al tasso di alienazione quello alcolico. Perché non è, come qualche benpensante ha lamentato, un inno all’alcolismo e nemmeno all’alcool (dannoso, certo, come l’aria e l’acqua inquinate, come il cibo avvelenato dai pesticidi, come gli infortuni e le morti sul lavoro, come la pubblicità di merci inutili, come le mille dipendenze che il capitalismo fomenta, intossicando, ferendo, mutilando, riducendo a brandelli la vita da almeno tre secoli). Perché invece è un inno alla vita, nel solco di Kierkegaard e Nietzsche. E perché la danza finale di Mads Mikkelsen (ballerino in gioventù prima di diventare il grande attore che è oggi) è memorabile quanto il fermo immagine conclusivo.
Dove vederlo
Noleggiatelo sulle piattaforme streaming. Oppure acquistatelo su supporto fisico o prendetelo in prestito dalla vostra biblioteca, come abbiamo fatto noi.
Che gran film, come tutti quelli di Vinterberg
Non sono benpensante ma anch'io inizialmente avevo pensato che inneggiasse un po' troppo all'alcol... Però a rivederlo ti do ragione, Tersite, non lo è.