Sciopero!
Una storia che sa di camerette a basso prezzo e diritti da difendere
Finalmente, dopo innumerevoli tornanti, la baita è apparsa ai loro occhi in tutta la sua bellezza. Un posto dove trascorrere una vacanza meravigliosa con moglie e figli, al fresco, in mezzo alla natura, pensano Shaoib e Kalam. Loro due, però, ci dovranno trascorrere meno tempo possibile, quello strettamente necessario a montare la cucina e la cameretta che il proprietario della baita ha ordinato sulla piattaforma e-commerce di “Pianeta Opportunità”, la maggiore azienda italiana nel settore della grande distribuzione di mobili. “La nostra forza è il prezzo”, dice lo slogan aziendale.
Il proprietario della baita, un uomo bianco molto abbronzato, indica loro l’ingresso e chiede quanto ci vorrà per avere tutto montato. Shaoib e Kalam si guardano e pensano che sarebbe bello potergli rispondere che ci vorrà tutta la mattina, perché per fare ciò che devono sarebbe quello il tempo giusto, il tempo umano. Un’ora, gli rispondono invece. Perché è quello il tempo che hanno, il tempo imposto dall’azienda. Il tempo disumano, come tutto quanto abbia a che fare con quel lavoro. Il proprietario annuisce e va a sdraiarsi al sole nel prato davanti alla baita, mentre i due iniziano a scaricare i pezzi della cucina e della cameretta, a trasportarli in casa e a montarli. In silenzio, limitandosi a sudare, svolgono il loro lavoro con rapidità ed efficienza, e in un’ora, come previsto, tutto è montato a regola d’arte.
Poi risalgono sul furgone, lo rimettono in moto e si lasciano la baita alle spalle, diretti verso il magazzino dove dovranno prelevare altri mobili per andare a montarli da un’altra parte, nelle case di altri uomini bianchi molto abbronzati. Già stremati, i due operai si trovano ancora una volta a ironizzare su quello che dovrebbe essere il vero slogan aziendale. “La nostra forza è lo sfruttamento”, dovrebbero dire. Perché non si può chiamare in altro modo il trattamento che l’azienda riserva a loro e agli altri operai: giornate da 12,13, 14 ore, sei giorni su sette, a rompersi la schiena su e giù dai furgoni. E una paga netta di 700 euro per i montatori come Kalam, che diventano un migliaio scarso per gli autisti come Shaoib. Per passare da montatore ad autista c’è una regola non scritta, che i capi comunicano a voce: non prendere ferie. Mai. Ed è quello che Kalam sta facendo: sono quasi tre anni che lavora senza mai fermarsi. Proprio come aveva fatto Shaoib prima di lui.
- Ma non è la strada giusta... - dice quest’ultimo di punto in bianco, mentre guida a velocità sostenuta lungo gli stretti tornanti.
- Sì che è questa - gli risponde Kalam.
- Non parlo della strada asfaltata...
- Ma che vai dicendo?
- Parlo del nostro lavoro, Kalam. Non si può continuare a dire di sì ai capi, a stare al loro gioco. Così ci facciamo massacrare...
Sei anni prima Kalam e Shaoib sono arrivati in Italia dal Pakistan a piedi, mettendoci sette mesi. Hanno fatto la rotta balcanica: Turchia, Grecia, Bosnia. Uno dei passaggi migratori più pericolosi e letali. L’inferno l’avevano già vissuto lungo quel tragitto e pensavano che nulla avrebbe più potuto impensierirli, nessun lavoro né altro. Ma si sbagliavano. Hanno la schiena a pezzi, sono esausti, non ce la fanno più.
- E cosa dovremmo fare secondo te? - chiede Kalam.
- Scioperare. Bloccare tutto. Il sindacato è pronto a sostenerci.
- Sciopero? Sindacato? Vuoi scherzare? Non servirebbe a niente, sarebbe solo peggio per noi... I capi si vendicherebbero. Io mi scorderei di diventare autista. E magari il lavoro ce lo levano del tutto...
- Ti sbagli, Kalam. Siamo in Italia, non in Pakistan. Questa è l’Europa. Qui i lavoratori hanno ancora dei diritti... Scioperare è un diritto. Una paga dignitosa è un diritto.
- Diritti? E dove sono, questi diritti? Perché allora sono tre anni che lavoro come uno schiavo?
- I diritti bisogna difenderli - risponde Shaoib, prima che una fitta alla schiena lo costringa a una smorfia e al silenzio.
Due mesi dopo, Shaoib si trova davanti ai cancelli del magazzino aziendale insieme a molti altri operai. Regge un cartello dove c’è scritto: “Niente diritti, niente consegne!”. Stanno scioperando da settimane. Venticinque di loro, tra cui lo stesso Shaoib, sono stati licenziati per aver messo a rischio l’attività produttiva, ma continuano a presentarsi ai picchetti più determinati di prima. Scioperare è servito. Il loro sfruttamento è uscito dall’ombra. Tanti hanno solidarizzato e in manifestazione, qualche giorno prima, c’erano più di mille persone. La vicenda ha avuto spazio sui media e l’azienda, avendo visto che le minacce e le ritorsioni non bastano a fermare la protesta, pare finalmente disponibile a trattare. Così hanno riferito i sindacalisti. Shaoib e gli altri, ormai provati da tutte quelle settimane di lotta, hanno un disperato bisogno di vederne finalmente i frutti.
Chi non ha lottato, invece, è Kalam. Le minacce e le ritorsioni gli hanno fatto paura, e insieme a una minoranza di operai in quelle settimane è andato avanti a lavorare, più di prima. Ora sta tornando in magazzino dopo una consegna, per caricare altra merce. Guida lui il furgone: è diventato finalmente un autista.
Arriva davanti al picchetto dove c’è Shaoib e i due vecchi amici si fissano per un lungo istante. Nei loro sguardi non c’è rivalità né tanto meno odio. Avrebbero voluto essere ancora dalla stessa parte, com’era sempre accaduto fin dai tempi della scuola, in Pakistan, a farsi coraggio e sostenersi l’un l’altro. Ma stavolta la vita li ha divisi e nei loro sguardi, quando s’incrociano, c’è solo infinita mestizia.
Alcuni scioperanti circondano il furgone di Kalam e iniziano a insultarlo, impedendogli di avanzare. Kalam si ferma e si sbraccia, chiede di poter passare. Vuole solo lavorare, dice, loro hanno ragione ma a lui servono i soldi. Quelli però non cedono. La probabilità che l’azienda tratti è tanto più alta quanto maggiore è il danno economico che saranno in grado di infliggerle rallentando la produzione. E dunque i furgoni dei crumiri vanno fermati, costi quel che costi. Uno degli scioperanti apre la portiera e cerca di trascinare fuori Kalam. Ma lui si attacca al volante e non cede.
- Mollalo!
A parlare è stato Shaoib. Lo scioperante che sta strattonando Kalam obbedisce. Shaoib è uno dei venticinque che nella lotta hanno perso il lavoro e in quanto tale è rispettato e ascoltato.
Circondati dagli altri operai, Shaoib e Kalam si fronteggiano.
- Digli di farmi passare, Shaoib, per favore. Voglio solo fare il mio lavoro...
- Io invece il mio lavoro non ce l’ho più, Kalam. L’ho perso.
- Lo so, e mi dispiace. Ma te l’avevo detto che a scioperare sarebbe finita male...
- E avevi torto. Se avessimo fatto tutti come te, non sarebbe cambiato nulla. L’azienda invece ora sta per cedere. Se non fosse per quelli come te, starebbe già trattando...
- Ho due bambini piccoli, Shaoib. Non posso permettermelo.
- Guardati attorno - ribatte l’amico allargando le braccia verso gli altri operai. - Tutti qui abbiamo bambini, mogli, genitori da mantenere. Ma non per questo rinunciamo a lottare. Perché non guardiamo solo al nostro interesse personale, ma a quello di tutti. Lo capisci questo, Kalam?
Kalam scuote la testa.
- Lasciami passare, Shaoib - si limita a dire. - Per favore.
Shaoib fa un passo indietro.
- Lasciatelo passare - dice agli altri operai.
Quelli obbediscono e lasciano libero il passaggio.
- Solo per questa volta, Kalam - gli dice Shaoib.
Kalam non risponde e tira dritto verso il magazzino.
Di fronte a lui, nello spiazzo esterno, vede avvicinarsi il capo a passo rapido, col braccio sollevato. Vuole parlargli.
- La prossima volta non ti devi fermare - gli dice l’uomo, in completo lungo nonostante la calura infernale.
- Che significa? - gli domanda Kalam.
- Non hanno il diritto di fermarti. Non ti devi fermare.
- Ma così li investo!
- Non hanno il diritto di fermarti - ripete il capo. - Non ti devi fermare.
Kalam china la testa.
- Intesi? - lo incalza il capo.
Kalam annuisce.
- E adesso vai, sei in ritardo.
Kalam varca la soglia del magazzino e spegne il motore. Con rapidità impressionante, lui e il collega ricaricano il furgone coi pezzi di una camera da letto e di una cucina, poi ripartono.
Fuori, il capo è ancora nello spiazzo.
- Ricorda cosa ti ho detto - dice a Kalam. - Non ti devi fermare. Se non si levano, tu accelera.
Kalam suda, ma il caldo non c’entra. Più avanti, oltre i cancelli, vede che il picchetto di Shaoib e gli altri è ancora lì. Sembrano persino più numerosi di prima.
- Hai capito?
Kalam annuisce.
Poi riparte.
Shaoib e gli altri lo vedono avvicinarsi, ma restano ai loro posti e non sembrano affatto intenzionati a farlo passare, stavolta.
Kalam, però, non rallenta.
- Non vorrai investirli davvero? - gli domanda preoccupato il collega, seduto di fianco a lui.
Kalam continua ad avanzare e, quando arriva a una ventina di metri dal picchetto, accelera.
- Kalam, ma che fai? - gli domanda il collega, alzando la voce.
- Giustizia - gli risponde Kalam.
Shaoib e gli altri scioperanti sono ormai soltanto a una decina di metri.
Kalam accelera ancora.
- Kalam, non farlo! - gli urla il collega.
Ed è a quel punto che Kalam sterza bruscamente.
Parcheggiata appena a sinistra del cancello, c’è l’Audi coupé del capo. Il furgone di Kalam la centra in pieno, distruggendola.
Quando il frastuono dell’impatto si spegne, lascia il posto a un silenzio irreale.
Dopo un paio di secondi, le portiere del furgone si aprono e Kalam ne esce barcollante insieme al collega. Quest’ultimo scappa verso il magazzino, Kalam invece va in direzione opposta e in pochi passi raggiunge gli scioperanti.
- Adesso ho capito - dice a Shaoib, e poi lo abbraccia forte.
Tra le grida di approvazione degli altri operai, Shaoib accompagna Kalam dietro a uno degli striscioni della protesta, il più grande. I due, aiutati da altre mani, lo sollevano all’indirizzo del capo e dei pochi crumiri rimasti a spalleggiarlo.
“La nostra forza è la lotta”, c’è scritto.
Nota dell’autore
Il racconto che avete appena letto è liberamente ispirato alla lotta sindacale con cui gli operai di “Mondo Convenienza” nell’estate 2023 si sono ribellati allo sfruttamento del loro lavoro, com’è stata raccontata in particolare nel reportage di Sara Giudice intitolato “Il silenzio del mobiliere”, apparso sul numero di agosto 2023 del mensile “FQ MillenniuM” (da cui è tratta anche la foto di Michele Lapini).
Un bel pugno chiuso nello stomaco: Tersite Rossi style.
Viva la letteratura working class!