Le presentazioni impossibili - Una proposta che non si può rifiutare
Una storia che sa di multe salate e conti stellari al ristorante
Quando arriva la “chiamata”, noi Tersite Rossi ci strizziamo l’occhio: ci sono state aperte le porte del Clan. Siamo invitati a una presentazione in pieno centro a Padova, con un gruppo di autori a farci da contorno e con la possibilità di osservare, dall’interno, un angolo intrigante del mondo letterario italiano che più ci attrae. È una proposta che non si può rifiutare. Insomma, ci sentiamo finalmente adulti. Ma, come spesso ci capita, ci sbagliamo.
Il viaggio in macchina procede tranquillo. Tuttavia, come in una giornata estiva in montagna, basta poco perché tutto si annuvoli e arrivi il temporale più burrascoso. Il nervosismo, come previsto, comincia a galoppare rapido quando siamo sulla tangenziale di Padova. Come si entra in città? Quale cazzo di corsia devo tenere? Ti avevo detto di svoltare prima! Prima quando? Nell’abitacolo si strepita. Uno guida, l’altro detta le indicazioni direttamente dal navigatore che tiene in mano, perché la ventosa ha ceduto di schianto e non s’appiccica manco con la saliva di un vampiro. Il risultato è disastroso: ci si ritrova a vagare in tangenziale con un limitato senso dell’orientamento. Si procede a cazzo, insomma. Ben oltre la città di Padova. La proverbiale ansia del guidatore (non proprio un killer a sangue freddo, il ragazzo) rischia di sfociare in una crisi isterica, a cui l’altro, dotato di un’altrettanto proverbiale finta-calma-per-celare-l’ignoranza, pone rimedio esclamando: mettiti in una piazzola di sosta che guardiamo la mappa. A queste parole, l’ansioso svolta improvvisamente a destra in uno slargo che definire piazzola è ampiamente generoso, attirando le ire di un clacson alle spalle, a cui in un film avrebbero fatto seguito dei colpi di fucile a canne mozze. Fermi, finalmente.
La sosta è davvero rigeneratrice. Il finto-calmo sorride, mostrando con l’indice un percorso blu sul navigatore che conduce all’agognata bandiera a scacchi. Basta invertire la marcia, dice con voce flautata. L’ansioso annuisce, convinto che stavolta l’amico sappia veramente dove andare. Ovviamente non è così. Ma non si dice. Fortunatamente gli angeli della tangenziale est ci vengono in soccorso e, una volta imboccato il raccordo per tornare indietro, un cartello “Centro” si palesa davanti a noi. Lo seguiamo pedissequamente e in pochi minuti arriviamo dritti dritti in città.
Fin troppo dritti, a dire il vero. Quel cartello “Centro” lo abbiamo preso eccessivamente alla lettera. Sì, perché, con nostro completo sgomento, ci troviamo in men che non si dica a girare in macchina nel mezzo di Piazza delle Erbe, che probabilmente non vedeva passare un’automobile dai lontani anni Novanta. Entrambi rabbrividiamo e per istinto, di fronte agli sguardi esterrefatti dei padovani a passeggio, facciamo la faccia seria, come di chi sa benissimo quello che sta facendo e ha una decina di permessi nascosti nel cruscotto da mostrare ai più dubbiosi. Peccato che se in quel momento si palesasse un vigile, potremmo solo giocarci la carta degli occhioni a goccia e delle mani imploranti. Ma nessun vigile si palesa. Siamo salvi, pensiamo, eccitati dall’aver fregato la legge. Col cazzo. I vigili non servono quando l’ingresso alla ZTL è protetto dalle telecamere. Che catturano il numero di targa e immeditamente inviano la multa al legittimo proprietario del mezzo: la madre del guidatore, che per amore materno tacerà per anni su quella multa salata, lasciando il figlio e il suo socio a baloccarsi con l’idea di “aver fottuto il sistema”. Lo ammettiamo: siamo vergognosamente ridicoli.
Usciti dalla zona a rischio, il parcheggio viene trovato nei pressi del convitto dove soggiornava uno di noi ai tempi dell’università. Praticamente a mezzora a piedi dal centro, dove si tiene l’evento. Il grande anticipo che avevamo previsto di investire nelle pubbliche relazioni è bello che andato. Come sempre, dobbiamo correre alla presentazione, arrivando sudati e col fiatone. L’ipotesi di essere diventati adulti comincia a mostrare delle piccole crepe.
Ciò nonostante, lo spirito garibaldino che per fortuna subentra in questi casi consente di superare la prova, tanto che, dopo la presentazione, fattasi sera, veniamo invitati con la sola combriccola che conta a cenare in un pregiato ristorante della zona. Il cibo è ottimo e abbondante. Il vino scorre copioso, soprattutto nel bicchiere di chi non deve guidare. L’intimità tra i commensali ci consente di sentirci davvero parte di un gruppo d’èlite. Più volte i nostri due sguardi si incrociano e lasciano intendere lo stesso pensiero: abbiamo superato il test, siamo dentro il Clan.
La baldanzosa sicumera con cui ci alziamo a notte fonda, tuttavia, diventa improvvisamente glaciale imbarazzo quando ci viene presentato il conto. E che conto! Scioccamente convinti - chissà poi perché - che qualcuno ci avrebbe offerto la cena in luogo della nostra brillante performance, deviamo furtivamente verso un angolo del locale e, come due tossici al parco, estraiamo dai rispettivi portafogli tutto il contante disponibile, dato che il ristorante non accetta, per oscuri motivi, pagamenti elettronici. Il calcolo è febbrile e tiriamo il fiato solo quando ci accorgiamo di arrivare giusti giusti alla cifra richiesta. Torniamo alla cassa sventolando le banconote, ben sapendo che in tasca non ci restano nemmeno i soldi per un caffè.
Salutata la compagnia, torniamo alla macchina. Ed è a quel punto che, dentro l’abitacolo, tra i due Tersite va in scena un duello cruento, degno di Clint Eastwood e Lee Van Cleef, ma senza buoni, solo cattivi. Quello più attento ai bilanci è ancora sconvolto dal conto del ristorante e fa una proposta indecente: evitare l’autostrada per risparmiare e tornare in Trentino attraverso un passo che solo a nominarlo ghiaccia il sangue nelle vene. L’altro, che è l’autista ansioso di cui sopra, si lascia andare a una risata isterica: non se ne parla. Il duello procede a colpi di argomentazioni inoppugnabili: “Siamo due pezzenti, inutile voler fare i grandi di Spagna”, “Sono io che guido e non posso nemmeno chiederti di sostituirmi perché sei sbronzo da fare schifo”. Dopo una decina di minuti così, la spunta il tirchio, ricordando un fatto indiscutibile: sappiamo che l’autostrada, sempre per oscuri motivi, non accetta i nostri bancomat (forse troppo proletari), per cui a quel punto si dovrebbe andare a cercare una banca per prelevare. L’ansioso, posto di fronte al dilemma “cercare un bancomat chissà dove” o “imboccare la strada per l’inferno usando il navigatore”, decide, ormai estenuato e privo di lucidità, per la seconda.
A quel punto il tirchio esulta e accende il navigatore, invitando l’ansioso a partire in quarta. Facendo appello a tutta la sua forza di volontà, il nostro eroe contrasta l’ebbrezza e accompagna il pilota fino all’imbocco dei tornanti che conducono al passo, poi, orgoglioso di aver portato a termine il suo compito, stramazza sul sedile e comincia a russare. L’ansioso, lasciato solo e in chiara iperventilazione, per calmarsi continua a ripetersi che la strada è quella e non può sbagliare. Peccato che gli innumerevoli tornanti siano privi di illuminazione e che ogni metro sia strappato alle tenebre come nei peggiori film horror. Si rende conto a metà salita che il cellulare non ha campo e che nemmeno l’autoradio riesce a trasmettere alcunché. È a quel punto che nella sua mente, per l’intera ora a seguire, si inseguono gli spettri delle infantili paure mai sopite. La tortura è inesorabile.
Solo quando comincia a scorgere dall’alto le luci della città della Quercia, primo avamposto di civiltà ai suoi occhi, allenta la presa sul volante e rilassa i muscoli. L’immagine è un’epifania che meriterebbe una immediata conversione, commenta a voce alta da solo come uno schizofrenico. Nello stesso momento, l’amico al suo fianco apre gli occhi e, stiracchiandosi, esclama con un sorriso da bambino: “Wow, già arrivati?”. L’età adulta, invece, è ben lungi dall’essere arrivata. Per entrambi.
Io, con zero senso dell'orientamento, ho condiviso la vostra ( più quella del guidatore) ansia. Beh, dai, che questa vista a Padova non è andata così male. A casa siete tornati e qualche mese di maturità l'avete acquisita. :-)