Le presentazioni impossibili - Serafino va in città e incontra Al Capone
Una storia che sa di amicizie virtuali effimere e sedie troppo basse
Tersite Rossi ha sempre affrontato la “carriera” di scrittore con atteggiamento naïf, che a qualcuno può essere parso talvolta strafottenza, a qualcun altro deficienza. Accadde anche in occasione di una delle presentazioni più importanti della nostra storia, durante uno dei festival letterari più importanti d’Italia. Una presentazione collettiva da fare insieme a diversi altri scrittori più o meno affermati, davanti a un pubblico numeroso e attento. Insomma, la cosiddetta grande opportunità.
Noi all’occasione ci arriviamo vestiti come sempre: qualcuno direbbe “casual”, qualcun altro “a cazzo”. Bisogna sapere, infatti, che Tersite Rossi ha un’altra caratteristica spiccata: non solo in fatto di abbigliamento, ma di ogni cosa, è sempre inadeguato al contesto: troppo urbano quando va in campagna, troppo campagnolo quando va in città. Ce ne rendiamo conto anche quella volta quando, proprio sulla soglia d’ingresso al festival, vediamo uno degli scrittori che presenterà con noi arrivare tiratissimo. Pare Al Capone. Lucido che manco una palla da bowling. Noi al suo cospetto sembriamo il proverbiale Serafino perso per la città.
Lo salutiamo ed entriamo assieme a lui. Ci accorgiamo subito di conoscere ben poca gente rispetto a quanta ne conoscano i “colleghi”, e soprattutto che nessuno conosce noi. Poco male, pensiamo, da imboscati si hanno meno rotture di cazzo.
Non riusciamo a evitare, in ogni caso, un’intervista volante rilasciata a un blogger misconosciuto, a quanto pare mandatoci dall’editore, non si sa se per farci un favore o un dispetto. Il tipo la vuole fare in video e ci acceca con un riflettore potentissimo che mette in risalto solo il nostro abbigliamento ridicolo. Ci sbarazziamo di lui con poche battute e iniziamo a gironzolare per il festival.
Per statuto, l’evento dovrebbe dare spazio soprattutto ai piccoli editori, ma anche qui, a quanto pare, la calca c’è solo negli stand dove si è fermato il grosso nome di turno. Quindi lontano da noi. A un certo punto Al Capone, che forse ha notato il nostro smarrimento ed è in imbarazzo per noi, fa la classica mossa dell’amico e ci presenta due giovani lettrici che, inaudito, dichiarano di conoscerci, di aver letto il nostro romanzo e persino di essere nostre amiche su Facebook. Noi, sempre incapaci di fronteggiare situazioni simili con la dovuta nonchalance, diamo chiaro segno di non averle mai sentite nominare, facendo la più classica delle gaffe (era ancora l’epoca in cui all’essere amici su Facebook veniva erroneamente attribuita una qualche importanza). Dopo un tentativo di rimediare peggiore della gaffe stessa (“Ah, sì, ora ricordiamo, sei quella che ha commentato il nostro ultimo post con quel lungo intervento!”, “No, non faccio mai commenti su Facebook”), le invitiamo al bar del festival, brutto, sporco e affollato. Per fortuna arrivano i drink e l’atmosfera si fa subito rilassata, persino gioviale, fino a far scattare in entrambi lo stesso, identico pensiero, frutto del solito, demenziale e assolutamente ingiustificato riflesso pavloviano del maschio di fronte a una ragazza che gli sorride: ci stanno. Non abbiamo però il tempo di verificarlo, perché l’ora della presentazione è infine arrivata.
Con le ragazze al seguito, in modalità “pavoni”, arriviamo baldanzosi nei pressi della sala dove fra poco entreremo insieme agli altri sei colleghi, a presentare i rispettivi romanzi. Si trovano già tutti lì, in attesa. Qualche stretta di mano, qualche battuta, e ci accorgiamo presto che sono tutti molto tesi e agitati. Tutti tranne noi. Sarà stato l’alcol, saranno state le ragazze, sarà stata la nostra cronica incapacità di dare la giusta importanza alle situazioni che contano, fatto sta che noi due siamo rilassatissimi e pronti a fare il nostro show con tutta la noncuranza del mondo.
Quando finalmente arriva il momento, entriamo. Ci sono sei sedie, perché gli autori sono sei. Sì, solo che i Tersite Rossi sono due. Manca una sedia. Panico fra gli organizzatori, che hanno appena dimostrato di non avere la più pallida idea, nemmeno loro, di chi sia Tersite Rossi. Sguardi adrenalinici che si cercano fra galoppini, gambe che corrono a cercare la sedia mancante, un galoppino che la trova, solo che è più bassa delle altre, ma fa lo stesso perché non c’è tempo. E così uno dei due si siede e pare un nano, col tavolo che gli arriva al mento. Ci guardiamo e ci ridiamo sopra. Ma non è un sorriso di circostanza, imbarazzato o isterico. La situazione ci fa ridere davvero. Anche troppo. Al punto che alcuni sguardi autorevoli, fra il pubblico, si accigliano, anche se noi, ovviamente, non ce ne accorgiamo.
La presentazione inizia. I colleghi sono tutti molto composti, molto attenti a quello che dicono, e soprattutto concisi, perché siamo in tanti a dover parlare. Quando arriva il nostro turno, noi ci produciamo invece in un intervento duro e lungo, essendo peraltro doppio. Quello dei due seduto all’altezza degli altri parte con la sua invettiva contro i sinistri, ignobili traditori dei lavoratori e del popolo, poi il nano completa con un attacco frontale e feroce all’ipocrisia del neo-capitalismo autoritario da abbattere a colpi di penna. Non ci siamo accorti, ovviamente, che stiamo parlando a un pubblico di borghesi politicamente corretti e probabilmente benpensanti. Finito il nostro intervento, l’applauso non scatta subito, come dopo gli interventi dei colleghi. C’è un lungo momento di silenzio, pesante come il piombo. Poi una delle due ragazze ci salva e lo fa partire. Il resto della platea si accoda poco convinta.
Terminata la presentazione, a noi non frega un cazzo di intrattenere i nostri lettori - che probabilmente manco ci sono - ma solo di recuperare le ragazze e verificare l’esattezza del pensiero che avevamo lasciato in sospeso poco prima. Torniamo al bar con loro, beviamo ancora qualcosa, poi lanciamo l’idea: andiamocene, questo bar fa schifo e questo festival è una rottura. Le ragazze ne convengono ed escono con noi. Direzione: la città. E di nuovo scatta il riflesso pavloviano, più immediato di prima: sì che ci stanno!
Lasciamo il festival quasi di corsa, dimenticandoci di salutare tutti coloro che avremmo dovuto salutare, di stringere tutte le mani che avremmo dovuto stringere. Sarà un errore fatale, ma in quel momento non lo sappiamo. Saliamo in metropolitana. Una delle ragazze, la più carina, riceve una telefonata. Dopo poche battute, capiamo che è il suo ragazzo. Si danno appuntamento per la serata. Io scendo alla prossima, ci informa lei imbarazzata dopo aver messo giù. Pure io, dice l’altra con un sorriso finto. Nel giro di pochi istanti, rimaniamo soli con la nostra baldanza, mentre il vagone sfreccia indifferente verso il caos della metropoli.
Non abbiamo più preso parte a quel festival. Non abbiamo più fatto presentazioni così prestigiose. E soprattutto non abbiamo mai più rivisto né sentito le due ragazze, sparite anche, chissà quando e chissà perché, dalle nostre cinquemila “amicizie” virtuali.
Certo ve le andate a cercare con il lumicino le situazioni strane e le ragazze che non vi vedono proprio. Comunque tutto bene se vi ispirano per scrivere storie divertenti.