Le presentazioni impossibili - Piscina senz'acqua
Una storia che sa di buondì e librerie sbagliate
Eravamo giovani. Non nel corpo (avevamo già quarant’anni), ma nello spirito. Si scriveva, e quello si fa ancora oggi. E si macinavano chilometri, e quello oggi si fa assai meno, perché siamo invecchiati, ed è invecchiato pure il mondo. Si pubblicava romanzi senza futuro e si girava per presentarli a chiunque interessasse. Pochi. Si viveva d’altro, e in fondo poi di che cosa si vive davvero? Denaro o sensazioni? Siano anche sensazioni sbagliate... Come quelle che spesso si provava girando per presentare romanzi senza futuro. Forse persino senza presente. Il passato, quello sì, c’era. Sempre.
Come quella volta a Napoli. Anno 2017. Terzo romanzo. Antropologhe, banchieri d’assalto, ragionieri di provincia, monaci eletti e un clan di cattivissimi. Ci pareva, come al solito, il romanzo della svolta. E quindi, per l’occasione, s’era persino incaricato un addetto alla comunicazione. Purtroppo rivelatosi una di quelle figure da sottobosco editoriale che somigliano tanto ai parassiti, vivono del lavoro altrui e non fanno nulla per meritarselo, tranne una cosa: apparire in grado di farlo. Andate a Napoli, dice. Vi aspettano, libreria coi controcazzi. Bene, andiamo a Napoli.
Gennaio. Napoli a gennaio è un po’ come una piscina senz’acqua, o un campo da calcio senza erba. Presentare un libro a gennaio, poi, appena dopo le feste, è un po’ come gli spaghetti a mezzanotte dopo un matrimonio da dieci portate: nessuno li vuole tranne pochi sbronzi o annoiati, e pure loro mangiano due forchettate e poi avanzano il resto. Ma pazienza, ci aspettano, e mica possiamo farli aspettare fino a primavera...
Ci aspettano, ma non rimborsano. Nemmeno un centesimo? No, nemmeno un centesimo. Vabbè, libreria coi controcazzi, ne vale la pena. E poi figurati se dopo la presentazione non ci portano a cena…
Viviamo d’altro, dicevamo, quindi per una trasferta così lunga bisogna prendersi ferie. E dormire fuori. Se fai ottocento chilometri, varrebbe la pena fermarsi qualche giorno, ma c’è il lavoro, appunto. Riusciamo a spuntare due giorni e una notte. E va bene così, perché per noi - lavoratori dipendenti e figli di operai - il denaro non abbonda, non ha mai abbondato e mai abbonderà. E allora vada per quell’appartamento da due soldi vicino alla libreria.
Col treno invece no, non si riesce proprio a risparmiare: queste frecce, rosse o argento che siano, trafiggono come fossero scagliate da un Cupido malvagio, quasi quanto gli imbecilli che hanno investito tutto sull’alta velocità, così che ora in Italia non si vede più un interregionale veloce o un intercity notturno nemmeno in fotografia. E pensare che è su treni così che mezza Italia del sud è emigrata a nord nel secolo scorso... Noi invece siamo nel Terzo Millennio e andiamo in direzione contraria, da nord a sud, e lo facciamo veloci, arrivando con un anticipo del tutto inutile, perché non dà comunque tempo di visitare la città, ma solo di prendere posto in appartamento.
Un buco arredato come una caserma, due brande e un bagno. Almeno è pulito. E poi ci sono i buondì. Il padrone di casa ce lo ripete dieci volte, che ci sono i buondì. Per la colazione, dice. Ma noi abbiamo fame e ne mangiamo due lì per lì, alle sei di sera. Mangiate, mangiate, che siete giovani. Almeno è simpatico. Vuole persino sapere che romanzo abbiamo scritto. Allora lo invitiamo in libreria, ma lui ci guarda come se lo avessimo invitato a fare a braccio di ferro con Sylvester Stallone in “Over the top”.
Una doccia e siamo fuori. Poca gente, in strada, per essere Napoli. Saranno tutti in libreria: battuta di uno dei due. L’altro non ride.
Eccola, la libreria. La identifichiamo a distanza. Alla presentazione manca mezzora. Non entriamo. Odiamo quell’attesa. Andiamo invece a bere qualcosa di alcolico. Sarà il momento più bello della giornata.
Usciamo dal bar con la leggerezza tipica delle bollicine appena ingollate e ci dirigiamo a passo di carica verso la libreria, con la sensazione che non solo quella, ma l’intera città esista solo per noi, solo per attendere noi, per accogliere noi, per ascoltare noi.
Arriviamo, entriamo come Clint Eastwood nel saloon e la presentazione non c’è. Abbiamo sbagliato libreria. Questa è un’altra, ci dicono. Ci guardiamo attoniti. Eravamo in anticipo, ora siamo in ritardo. Ci spiegano come raggiungere la libreria giusta, ma per le vie di Napoli ci perdiamo lo stesso, gesticolando, farfugliando e zigzagando come ubriachi, e del resto lo siamo. Arriviamo che la presentazione doveva iniziare dieci minuti prima. Il problema, però, è che non c’è nessuno.
O meglio, c’è il libraio. Anzi, i librai. Sono due. Un signore d’età avanzata, che ci accoglie con grandissima cordialità e un sorriso largo come il vuoto della sala riservata alla presentazione. E una ragazza molto giovane, altrettanto sorridente e pure carina. E poi c’è il presentatore. Pure lui scrittore. Il genius loci. Non vi preoccupate, dice, qui a Napoli la gente arriva sempre mezzora dopo.
Nell’attesa - proprio quell’attesa che noi odiamo e volevamo evitare - lo scrittore chiacchiera con noi. È un tipo simpatico e arguto. Il nostro romanzo gli è piaciuto assai. Ma noi non lo ascoltiamo. Fingiamo di farlo, ma tutta l’attenzione è riservata al silenzio assordante attorno a noi, alla totale assenza di altre forme di vita attorno a noi. Alla fine, la mezzora passa e arrivano in tutto cinque persone.
In casi come questi devi far uscire il professionista, anche se non lo sei. Hai fatto ottocento chilometri, hai speso un botto, hai buttato due giorni di ferie, davanti a te c’è il deserto. Non fa nulla, adesso devi presentare. E presentiamo.
Non va male. Il presentatore è brillante. Noi, modestamente, pure. I cinque paiono interessati e alla fine si fanno anche firmare la copia. C’è persino spazio per una foto-ricordo con la libraia carina. Quasi ci dimentichiamo del flop, anche perché adesso arriva la parte migliore. La cena. A Napoli. Chissà che bontà. Chissà dove ci portano.
All’uscita. E lì ci salutano, sempre cordiali, sempre sorridenti. Così di colpo siamo di nuovo fuori, in strada. Solo in quel momento ci accorgiamo di esserci vestiti poco. A gennaio, la sera, anche a Napoli può fare molto freddo.