Le presentazioni impossibili - La tomba di Mike
Una storia che sa di camere singole allestite come triple e di signore distinte e sciantose
Il tour in tandem, sotto l’egida dell’editore del (mai avvenuto) salto, ha riservato pagine gloriose. Soprattutto ha saldato un’amicizia che dura ancora a distanza di anni. E l’amicizia, in particolare tra maschi, necessita di tre ingredienti fondamentali: interessi comuni, condivisione di spazi intimi, ammiccamenti complici. E per noi tre questa perfetta combinazione si è realizzata in riva al lago Maggiore, in una località una volta dedita allo sfrenato yuppismo borghese e ora tristemente condannata ai rimpianti malinconici. All’interno di un festival di cui ci sentiamo, inesorabilmente, gli imbucati.
Gli interessi comuni del terzetto li scopriamo durante il viaggio in treno (tra l’altro un viaggio comodo quanto una panchina fatta di ricci di mare). Siamo scrittori, perdio, quindi dobbiamo darci un tono e discettare di letteratura, di stili, di generi. Ci proviamo. E subito gettiamo la maschera. Inutile. Siamo culturalmente pop, siamo socialmente proletari, siamo caratterialmente provinciali. Insomma, non possiamo scimmiottare i grandi intellettuali delle casate accademiche senza scoppiare a ridere. Non fa per noi.
Giunti in un albergo che, tra polvere, indolenza e aria stantia, sembra essere stato aperto senza entusiasmo per l’occasione, scopriamo la condivisione degli spazi intimi all’interno di una camera tripla dove alloggeremo fino all’indomani. A dire il vero, più che una tripla è una doppia a cui è stato aggiunto un materasso in mezzo allo stretto passaggio. E, a dirla tutta, più che una doppia, sembra una singola a cui si è pensato bene di infilare un letto in più, per ottimizzare un metro cubo d’aria avanzato. Ma si sa, siamo giovani (?), scrittori (cioè, nell’immaginario comune, dei pezzenti abituati a vivere nello sgabuzzino delle scope) e maschi (rinforzati dalla vita in caserma che nessuno di noi ha fatto), quindi non ci formalizziamo. E mettersi in coda per pisciare nello stesso water minuscolo, dietro una porta di cartavelina che dovrebbe servire a separare il bagno dal vagone letto chiamato camera, a meno di un metro dal cuscino del più sfigato dei tre, è il battesimo dell’amicizia. Dopo questo, siamo come fratelli. Ci riconosciamo dall’odore. E dalle battute volgari.
Gli ammiccamenti complici, infine, sanciscono il legame in maniera definitiva in tre distinti atti.
Il primo atto si consuma bighellonando per il festival, tra autori sconosciuti (come noi del resto) attorniati dalla claque parentale e soprattutto in mezzo a qualche scrittore affermato, il cui commissario (o ispettore, o comecazzosichiama) ha infranto i cuori dei maniaci del genere e la cui fama consente di camminare due metri e mezzo sopra il cielo e dispensare sorrisi compiaciuti e bonarie pacche sulle spalle ai colleghi (tipo noi) che non ce l’hanno fatta. Ce n’è uno che staziona al bar, noi ci avviciniamo incautamente solo per bere qualcosa e questi, squadrandoci per bene con l'aristocratica altezzosità dell’uomo di successo, fa un impercettibile cenno col capo che potrebbe voler dire “sì sono proprio io! Ora salutatemi e vi degnerò di ricambiare”, mentre noi ordiniamo qualcosa per rinfrescarci e ce ne andiamo, ignorandolo in buona fede. Mentre ci allontaniamo, il più dotto delle cose di mondo, alias il nostro amico, ci riferisce l’identità del soggetto in questione (che a lui sta piuttosto sulle palle), noi annuiamo ignoranti, col labbro inferiore sporgente, tipico di chi non ha ancora capito chi fosse, e inconsapevoli del reato di lesa maestà commesso.
Il secondo atto, il più clamoroso, prende corpo durante l’evento di cui siamo protagonisti. La presentatrice illustra a un discreto pubblico le nostre opere e poi ci chiede di intervistarci reciprocamente. La cosa è bizzarra, ne conveniamo, ma ormai ci abbiamo fatto l’abitudine. Ed è qua che la corrispondenza di amorosi sensi tra Tersite e l’amico scrittore si consuma palesemente. Resi sbarazzini dalla piacevole aria tardo-pomeridiana del lago, decidiamo di giocare e sfidarci a singolar tenzone alle domande impossibili. Cominciamo noi chiedendogli se nel suo romanzo la presenza ossessiva di una bambola fosse dovuta alla sua passione infantile per i giochi femminili. Palese provocazione. Lui incassa e con eleganza si smarca. Poi tende la corda e scocca la sua freccia. Letale. “Ho letto in una vostra recente intervista che alla base dell’ultimo romanzo ci sono tre elementi a voi cari, di cui vorrei spiegaste il legame: la nutella, i cartoni animati giapponesi e Mike Bongiorno”. Noi Tersite ci guardiamo. Non abbiamo mai rilasciato un’intervista simile. Se l’è inventata di sana pianta solo per farci fare la figura dei fessi. Uno di noi, quello più vicino all’infingardo, fa cenno di “no” col capo. L’altro capisce che sono cazzi suoi. Del resto la domanda sulla bambola l’aveva fatta lui, quindi il problema è suo di diritto. Nel frattempo, la presentatrice si china verso l’amico scrittore e gli sussurra all’orecchio: “L’ho letta anch’io quella intervista!”. L’amico diventa paonazzo e sta per scoppiare, ma gonfia le guance a palloncino e blocca la risata che avrebbe fatto saltare il banco. Il pubblico trattiene il fiato, anche perché da quelle parti Mike Bongiorno è un’istituzione dato che è stato sepolto lì e, soprattutto, visto che poco più di un anno prima dei vandali ne avevano trafugato la tomba. La risposta esce in una spirale di parole legate tra loro, me del tutto prive di logica. I presenti annuiscono. La presentatrice annuisce. L’amico pure, ridacchiando. Tersite respira, finalmente.
Il terzo e conclusivo atto avviene dopo cena, quando la presentatrice (a cui stiamo inspiegabilmente simpatici) decide di accompagnarci a bere un cocktail sull’attico del più prestigioso hotel della zona, in compagnia… esatto! del noto scrittore di gialli che avevamo precedentemente ignorato. Assieme a noi ci sono personaggi non meglio identificati ma che, posato il sedere sulle comode poltrone della terrazza da cui si domina il lago, iniziano a discettare di premi, di comparsate più o meno prestigiose e, in particolare, di pettegolezzi letterari. La star della serata (che adesso giustamente ci esclude) è al centro del circolo e punta selvaggiamente una discinta e sciantosa signora, per l’occasione senza marito, tanto che il clima si fa surreale. Noi tre, incapaci di sederci, sorseggiamo un bicchierone di alcol e ghiaccio ai margini del cerchio magico e osserviamo divertiti la scena che potrebbe assomigliare, con una buona dose di grottesca immaginazione, a un incrocio tra le discussioni sui tetti di Roma de “La grande bellezza” e la morbosa elettricità anni Ottanta de “La moglie in vacanza, l’amante in città”.
L’epilogo della serata ci appare scontato: con il sottobosco letterario, leggermente sbronzo, che passerà dai pettegolezzi alle vere e proprie invettive, e lo scrittore affermato che con una scusa qualsiasi accompagnerà la sciantosa nella sua camera d’albergo a incassare il “bonus notorietà”.
Stanchi di assistere al teatrino, ci congediamo e ci infiliamo nei vicoli del paese, dove un locale molto grunge ci accoglie con una birra fresca. Per brindare alla nostra amicizia. E naturalmente alla tomba di Mike.