Le presentazioni impossibili - Il nostro grosso grasso matrimonio balcanico
Una storia che sa di trattorie laziali, otri di vino e balli ripetuti all'infinito
Per Tersite Rossi la tripletta è una tripla presentazione in giorni consecutivi, preferibilmente in luoghi lontani dalle (più o meno) natie Dolomiti. E nella tarda primavera del 2017 si presenta l’occasione di una memorabile tripletta tra Umbria e Lazio. Una sorta di vacanza, seppur a marce forzate.
Dopo la tappa umbra, durante la quale scopriamo che la cena in albergo prevede una sola portata pagata (probabilmente perché gli organizzatori hanno già scorto l’incalzante pancetta pre-andropausa di uno dei due), è la volta del Lazio settentrionale. Arriviamo in una trattoria affitta-camere di un’amena frazione dimenticata da Dio (ma non da Pasolini), in pieno pomeriggio di sole. Inaspettatamente siamo in anticipo e possiamo pure goderci una doccia (elemento mai scontato in questi casi) e quasi due ore di ozio in terrazza, come se fossimo delle vere star. Peccato che intorno non ci sia nessuno a confermare l’inopinata sensazione e assomigliamo, piuttosto, a una coppia di gay britannici di mezza età persi per l’Appennino. Ci facciamo pure un autoscatto, da condividere immanentemente con le rispettive morose, tanto per tirarcela un po’. Il loro feroce giudizio è immediato. E unanime: “Ma che v’è successo?”.
I librai (una coppia deliziosa e magistralmente professionale) ci vengono a prendere in macchina per condurci in libreria che manco le vere star, rafforzando il nostro trofico ego. Il compito, a dire il vero, durante la presentazione lo svolgiamo come dio comanda e alla fine ci meritiamo pure una cena con i nostri ospiti. Presso la trattoria affitta-camere, ovviamente.
Il luogo deserto e silenzioso, però, è sottosopra. L’intera sala principale è occupata da uomini, donne, bambini in costumi balcanici che mescolano balli e cibo per festeggiare un matrimonio. La musica è altissima, tanto da costringerci a gridare per comunicare tra noi. Ma che carini, affermiamo sull’onda dell’entusiasmo, come si conviene al primo ingenuo approccio con l’esotismo. Senti che ritmi, fa quello di noi che ama le sonorità dell’est. Già, annuisce l’altro, che però non ha occhi che per i piatti di cinghiale fumante che escono con precisione taylorista dalla cucina, dove si affanna un donnone dotato di poteri sovrannaturali. Tutto intorno, due-tre figure che corrono a portare piatti, raccogliere ordinazioni, consegnare otri di vino. È tutto, semplicemente, perfetto.
Veniamo sistemati in un antro oscuro, piuttosto lontano dalla musica, che però ci accompagna indefessa. Sfogliamo il menù, ci scambiamo sguardi famelici, l’acquolina gocciola sulla carta unta, aneliamo di pippare il tartufo sulle tagliatelle, bramiamo di scarnificare le zanne dei suidi arrostiti, siamo colti da visioni in cui sbracciamo a dorso nel rosso della casa. E l’agognato momento delle ordinazioni ha qualcosa di mistico.
Un uomo dal ghigno di Lando Buzzanca e dall’acuto di Pippo Franco si presenta col notes delle ordinazioni e inizia a parlare. Sforna dieci parole al secondo con un accento caratteristico della Tuscia meridionale, concluso da un “eh?” accusatorio. Anzi, inquisitorio. Noi sorridiamo ebeti, come sempre in casi simili. Guardiamo i librai, anomala coppia di lombardi fuggiti a sud che si orienta vagamente nell’idioma locale.
Di colpo il nostro, che avremmo poi scoperto essere il titolare, si allontana e inizia a discutere con altri avventori in modo piuttosto acceso. Il Buzzanca de noantri, rosso in volto, comincia a sbracciare e gli acuti, per quanto sia umanamente impossibile, si alzano di un tono. Intuiamo che l’argomento è calcistico, perché a un certo punto si mette a gridare: “‘a Lazie! ‘a Lazie!”, con una sequela di improperi nei confronti dell’allenatore dei biancocelesti.
Quando torna da noi è sformato, la mandibola scivolata di lato e gli occhi spiritati. Ci chiede brusco: “Allora?”. Noi obbedienti ordiniamo l’ordinabile e non facciamo nemmeno in tempo a chiudere la bocca che orci di vino finiscono sul tavolo e in pochi minuti nelle nostre vene. L’allegria è incontenibile. Tra le risate notiamo come nella sala principale la turba balcanica festeggi al suono di sole tre canzoni. Sempre le stesse. Ripetute ad libitum, con uniche variazioni sui cori. Probabilmente tarati sul grado alcolico dei commensali. Simpatici, ci diciamo un po’ meno convinti. Ma tanto c’è il vino per distrarci.
Dopo un quarto d’ora arrivano i primi. L’uomo de ‘a Lazie è sempre più sformato. Suda come Pantani sull’Alpe d’Huez. Bestemmia, a prescindere. La musica balcanica non varia di un accordo. Sempre quelle tre canzoni. Sempre gli stessi balli. Sempre gli stessi cori. Ma che ce frega? Tanto c’è il tartufo da pippare.
Dopo mezzora escono i secondi. Il titolare ha lasciato l’onere di servirci al figlio, il quale, reo di metterci un istante di troppo, viene prontamente insultato dal padre che lo ricaccia in cucina a calci in culo. Intanto la musica balcanica non varia. Tre canzoni, tre. Il nostro sorriso comincia leggermente a incrinarsi, ma la presenza del cinghiale cancella tutto. Daje!
Superiamo la mezzanotte, sazi e palesemente brilli. Dopo i saluti, ci trasciniamo lungo le scale in direzione della camera. È ora di dormire. Il giorno dopo ci aspetta la terza tappa del tour e poi il lungo rientro a casa. Al momento di chiudere la porta abbiamo solo il tempo di notare che la festa, di sotto, continua. E il programma musicale non è cambiato. Poi, tutto si fa buio. Almeno per quello di noi che si addormenta praticamente vestito sul letto. Mentre l’altro…
L’altro, per quanto vino abbia bevuto, ha una routine de toilette da rispettare. Ci mancherebbe. Forse grazie all'acqua fresca abbondantemente spruzzata sul viso, recupera un minimo di lucidità. Guarda l’orologio: quasi l’una. Infila una maglietta pulita, si stende sul letto e fissa la finestra, da cui entra un filo di luce lunare. Le tre canzoni sembrano dover andare avanti per sempre. Il sonno non arriva.
La nottata sta prendendo una piega pericolosa, pensa. Il giorno dopo deve guidare. Tra la terza tappa e il ritorno a casa, fanno più di settecento chilometri. Bisogna alzarsi all’alba. Bisogna essere lucidi. E lui non dorme. Troppo rumore. Sempre le stesse tre canzoni, a volume immutato. Sono quasi le due.
Mentre il Tersite dormiente se la russa della grossa, lo sveglio è in preda al panico. Si sente stanco, ma non riesce ad addormentarsi. Il suo letto sussulta al ritmo delle tre canzoni maledette. Poi, a un certo punto, sente “clic” nella testa.
Il panico svanisce e monta la rabbia. L’odio. Il furore. Indossa i pantaloni, infila le ciabatte e apre la porta. Sente che l’altro bofonchia qualcosa. Poi torna a russare. Sa di essere solo. La missione è sua.
Scende le scale in trance. Arriva nella sala da pranzo e viene intercettato da un cameriere. Forse il figlio del titolare. Forse un buttafuori. Senza preamboli chiede di parlamentare col capo dei balcanici. L’uomo si assenta, titubante. Torna poco dopo in compagnia di un tipo grasso, con un gilet sgargiante, il capello un filo spettinato e un baffo truce. Parla un italiano stentato, assertivo. Il nostro sente mancare un battito al cuore. Ma deve dormire. E il coraggio viene da sé. Non si perde in fronzoli e capisce che la trattativa deve essere secca. Chiede che la musica venga spenta. Ora. Sono le tre. Il baffo stringe gli occhi a fessura, fa un gesto irritato. Alle quattro, rilancia. Il nostro accusa il colpo, ma non vuole cedere. Tre e mezza, ribatte. Il baffo increspa le labbra, pensante. Il cameriere, o il buttafuori che sia, assiste trepidante. Poi il capo-clan annuisce e allunga la mano. Il nostro la stringe. L’accordo è siglato.
La risalita lungo le scale è rapida. Una volta a letto, il nostro conta mentalmente i secondi, temendo che il patto venga tradito. Poi, precisamente allo scoccare delle tre e mezza, la musica s’interrompe. Le tre canzoni vengono risucchiate dal mesto rumore di stoviglie sistemate e passi in direzione dell’uscita. Il nostro crede di sognare. Ma anche se fosse, prega gli dei che lo hanno protetto di non essere svegliato.
Ma neppure il Tersite sveglio è riuscito ad imparare le tre canzoni?