Le presentazioni impossibili - Caronte sardo
Una storia che sa di treni bollenti, grigliate umane e bar con le imposte socchiuse
L’estate del 2017 è torrida, specialmente ad agosto. Un anticiclone africano particolarmente bollente viene battezzato “Caronte” (chissà i meteorologi a quale ospedale psichiatrico appaltano la scelta dei nomi). E noi il picco di Caronte ce lo becchiamo in pieno. In Sardegna. Fermi, fermi, prima di invidiarci. Mica ce lo becchiamo in spiaggia, col cocktail in mano, mentre facciamo i farfalloni a salve. No! Ce lo becchiamo dritto dritto in fronte nel viaggio che da Cagliari conduce a Macomer, provincia di Nuoro. Nel mezzo dell’isola. Di fatto una prateria infuocata degna dell’Arizona dei film western. E attenzione. Il viaggio mica lo facciamo su una vettura dotata di aria condizionata. No. Noi siamo ecologisti estremi (ehm, almeno per metà). In particolare, siamo senza soldi. E l’unico mezzo che ci possiamo permettere è un treno regionale che ferma in numerosi paesini, prima di giungere a destinazione. Partenza: ore 13.15. Praticamente un suicidio.
Affrontiamo la traversata del deserto con la consueta ignoranza. Inconsapevoli di quello che soffriremo. Basta uscire dalla stazione di Cagliari per fare i conti con l’aria soffocante che entra dal finestrino abbassato e funge da phon. Rischia persino di ustionarci. Tramite messaggi comunichiamo a casa il nostro tragitto. Le morose scuotono il capo e sfilano dall’armadio due vestiti neri. A lutto.
Gli altri arditi presenti sul treno estraggono dallo zaino enormi boiler carichi di acqua da cui si abbeverano tramite flebo. Noi dopo dieci minuti possiamo dire addio alle nostre inutili bottigliette da viaggio comprate in stazione. Abbiamo disegnato in fronte il segno rosso dei condannati a morte. Gli altri ci guardano con commiserazione. Ciò nonostante, resistiamo con discreto onore fino a Oristano, a metà percorso. Da quel momento, però, perdiamo lucidità e i ricordi diventano drammaticamente vaghi. Cerchiamo di toglierci ogni indumento possibile, senza cura per la decenza. In quel vagone, con una temperatura percepita che supera i 40 gradi centigradi, tutto è permesso, pur di sopravvivere. L’isola dei famosi ci fa una pippa.
Dopo ore di grigliata umana, strisciando e boccheggiando come salmerini cotti al sole, giungiamo incredibilmente vivi a Macomer. Non c’è nessuno ad attenderci in stazione, perché nel pieno pomeriggio di Caronte nessuno è così scemo da abbandonare l’aria condizionata delle abitazioni. Utilizziamo il navigatore portatile per individuare la strada che conduce al nostro alloggio. Dopo dieci minuti, scopriamo di essere tornati al punto di partenza. Ci guardiamo. Siamo smarriti, smagriti, smunti. Uno dei due sente l’avanzare di un collasso. L’altro usa l’ultimo fiato rimasto per bestemmiare. Ci sorreggiamo a vicenda e riproviamo a seguire le indicazioni del navigatore. Sappiamo che è l’ultima possibilità concessaci dalle Parche. Se la sbagliamo, taglieranno il filo senza pietà. Protetti dal dio dei viaggiatori ignoranti, imbocchiamo la via esatta e con stupore arriviamo al bed & breakfast.
Il proprietario ci accoglie con altrettanto stupore, avendoci già dati per morti, poi ci mostra la camera: una mansarda abitabile quanto una sauna finlandese. E con l'acqua razionata. Riusciamo a lavarci a pezzi, quantomeno quelli con maggior presenza di peli e odori nauseanti. In breve siamo pronti a recarci in libreria, ma ci accorgiamo che è troppo presto. Poco male, fa il nostro ospite, venite con me. Vi accompagno al bar.
L’ingresso nel baretto di quartiere conferma l’ambientazione western in cui siamo finiti. I cinque avventori, seduti al buio creato dalle imposte socchiuse per evitare le frustate di Caronte, si fermano e all’unisono si girano a guardarci. È solo la presenza del nostro Virgilio che impedisce loro di freddarci a colpi di fucile sull’uscio. Se siamo con lui, significa che non siamo ostili. Né rompicoglioni. Quindi degni di sopravvivere. Il nostro mentore ci presenta come illustri scrittori giunti dal continente per presentare il loro ultimo capolavoro. Lui, ovviamente, non ha mai letto una riga di Tersite Rossi, ma è un dettaglio trascurabile. Siamo delle star, a prescindere. Siamo la nuova attrazione del circo.
Il gruppo dei cinque ci ordina - la parola “invito” non è contemplata - di sederci e di bere con loro. In meno di un secondo stiamo già trangugiando birra Ichnusa. La prima bottiglia serve solo a ripristinare il livello minimo vitale di liquidi nel corpo. La seconda e la terza, le percepiamo. O meglio, le percepisce uno dei due. Perché l’altro, quello che si finge astemio, dopo la prima birra salvavita chiede qualcosa di analcolico e da quel momento, seppur accontentato, viene bellamente ignorato dagli avventori, manco fosse un soprammobile. L’altro, invece, carburato dall’alcol a stomaco vuoto, assume uno sguardo ridanciano e cameratesco che gli consente di comunicare con i locali in un idioma misto, indecifrabile anche al migliore dei glottologi. Si ride, si urla, si raccontano storie. Uno dei cinque, forse il più anziano, ci enumera l’elenco preciso di tutte le donne che ha sedotto. Deve essere stato un bell’uomo, da giovane. Da giovane, appunto. Ma il dettaglio anagrafico non sembra impensierirlo. Ci racconta che la sua più grande preda è una bellona finita in tv sulle reti Mediaset. Noi strabuzziamo gli occhi, perplessi. Lui annuisce, facendo un gesto con la mano che lascia intendere sottotesti vietati ai minori.
Il Tersite astemio si accorge che, tra un aneddoto e l’altro, è giunta l’ora di presentarsi in libreria. A quel punto il nostro Virgilio ci abbandona e ci lascia nelle mani del latin lover che, orgoglioso del compito assegnatogli, ci conduce a destinazione con la sicumera di chi, quel luogo, lo frequenta tutti i giorni. Entra con noi nel negozio e saluta con un sorriso a trentadue denti (finti) la libraia, che ricambia perplessa. Sfoglia qualche volume e poi, poco prima che l’evento cominci, saluta e se ne va, lasciandoci frastornati. La moderatrice dell’incontro ci chiede conto di quell’inattesa compagnia (“non è mai entrato qui dentro da quando abbiamo aperto anni fa”, ci confida), ma non abbiamo tempo di imbastire una risposta che il pubblico ormai ci reclama.
Segue una delle presentazioni più paradossali della nostra storia, poiché uno dei due è decisamente sbronzo. Al punto da farfugliare confuso le prime parole di risposta alla domanda postagli, costringendo l’altro a sostituirlo in corsa. Il Tersite alcolico rimane quindi inerte, con un sorriso d’ordinanza stampato sulle labbra, impegnato più che altro a evitare di perdere l’equilibrio e cadere dallo sgabello. L’altro, nonostante le temperature infuocate, suda freddo, finché, circa a metà presentazione, nota che le gote dell’amico hanno perso rossore e il suo sguardo è tornato a mostrare segni di parziale lucidità.
Concluso il tutto, è soltanto a sera molto inoltrata che possiamo finalmente ingurgitare del cibo solido per far fronte a una fame biblica e tenere sotto controllo il tasso alcolico. Caronte, nel frattempo, non ha allentato la morsa. Si prospetta una calda nottatta, almeno per le temperature. Anche perché nella mansarda che ci accoglie a notte fonda il Tersite ecologico pone il veto sull’accensione dell’aria condizionata: “Fa male a noi e all’ambiente”, sussurra prima di stramazzare sul letto. Lasciando l’altro a una nuova notte tormentata, in cui la veglia forzata lascerà spazio solo a qualche sogno incendiario. Ovviamente, nel deserto dell’Arizona.
per la scrittura affrontate il caldo, la fame, l'insonnia, l'abbandono: siete proprio eroici...e divertenti.