Prima puntata di due
Non ho fatto una vita avventurosa. Almeno per quel che riguarda questi primi quarant’anni. Però due volte l’ho rischiata. E in entrambi i casi mi trovavo con la stessa persona. Un ex compagno di scuola. Tano.
Tra noi maschi, al liceo, Tano era il più anonimo. Eravamo in sei, in classe. Solo in due a quattordici anni non si masturbavano con regolarità: quello che aveva già la ragazza e Tano. Solo in due a quindici non simpatizzavano per la sinistra extraparlamentare: quello fascista e Tano. Solo in due a sedici non fumavano canne con regolarità: quello che faceva sport e Tano. Solo in due a diciassette non avevano brutti voti in latino e greco: quello intelligente e Tano. Solo in due a diciotto non avevano mai avuto ragazze: quello sporco e Tano.
Tano si limitava a venire a scuola la mattina, ad aiutare il padre nei campi il pomeriggio e a studiare in camera sua la sera.
Tano era il diminutivo di Cristiano. Solo noi lo chiamavamo Tano. Tutti gli altri lo chiamavano Cris.
Tano rispondeva in modo perfetto al prototipo di quello che comunemente si definiva uno sfigato. Ho sempre avuto un debole, io, per gli sfigati. Forse perché tendono a essere marginalizzati. Forse perché lo sono sempre stato pure io, un po’ sfigato. Fatto sta che divenni suo amico.
A Tano l’intelligenza non mancava. Scoprii che era dotato di un certo umorismo e persino di sarcasmo. Gli piaceva cogliere i punti deboli degli altri e canzonarli divertito, sempre alle spalle del malcapitato. Più che cinico Tano era in fondo un tipo meschino. Era anche dotato di una certa immaginazione. Gli piaceva fantasticare su cose come fare tardi il sabato sera in discoteca e rimorchiare le ragazze più belle, sempre spacciandotele per fatti realmente accaduti. Più che fervido di mente Tano era in fondo un bugiardo. E a me un tipo così serviva. A dare sfogo alla mia parte meno nobile. A cadere in basso senza che il compagno di caduta mi criticasse. A mangiare ghiande, senza timore di sporcarmi il muso di fango.
Più passavano gli anni, più Tano superava l’iniziale timidezza e si faceva spavaldo. Continuava a essere uno sfigato, indubbiamente, solo che adesso si comportava come se non lo fosse. L’effetto era di risultarlo ancora di più. Mi legai ulteriormente a lui.
Poi, sul finire del liceo, Tano prese la patente e iniziò a raccontare di certe mattate che combinava coi suoi amici. Corse in auto a fari spenti nella notte. Incidenti evitati d’un soffio. Noi pensavamo che fossero le solite balle, ma non glielo dicevamo. Perché togliergli anche quelle misere soddisfazioni?
Arrivò così l’ultima cena di classe prima della maturità, organizzata nell’enorme villa d’una nostra compagna. Era l’inizio di giugno e nell’aria c’era già profumo d’estate. Era sempre stato inebriante, quel profumo, foriero d’un senso profondo d’evasione e libertà. Quell’anno, però, lo percepimmo solo come inopportuno e fuori luogo. L’esame non ammetteva distrazioni. M’ero messo a studiare come non avrei più fatto in vita mia. Quell’uscita serale sarebbe stata una delle poche che mi sarei concesso fino alla data dell’orale.
Il lambrusco sulle tavole era tanto e la stanchezza per il troppo studio pure. Mi sbronzai velocemente. Non fui l’unico. Quella serata fu presa da tutti come una specie di baccanale prima della clausura. Anche da Tano, che però reagì allo stimolo in modo diverso. A mezzanotte era fra i pochi della festa a essere rimasto sobrio, l’unico fra i maschi. A un certo punto mi si avvicinò e mi chiese a bassa voce se avevo voglia di farmi un giro sul suo scooter per le campagne attorno alla villa. Era una proposta senza senso e quindi accettai.
Io mi sistemai dietro e Tano davanti, alla guida. Mise in moto, diede gas e partì. Anche da sbronzo mi accorsi che correva troppo. Le stradine che stavamo facendo erano strette, non illuminate e piene di curve. Eravamo entrambi senza casco. Gli urlai di rallentare. Lui accelerò. Poi di colpo spense i fari. Diventò tutto buio. Non feci in tempo a urlare di nuovo che lo scooter, arrivato a una curva più stretta delle altre, aveva già sbandato. Disarcionati dal mezzo, io e Tano strisciammo per parecchie decine di metri ai bordi della strada, su un prato. Fu come volare, ma senza staccarsi da terra.
Quando finalmente la nostra corsa si arrestò, fui io il primo a rialzarmi. La sbronza m’era passata di colpo, completamente. Mi scordai d’imprecare contro la stupidità di Tano e lo aiutai a sollevarsi. In quel momento bastava già lui, a imprecare contro se stesso. C’era poco da imprecare, in realtà. Potevamo camminare entrambi, per quanto su gambe incerte e tremanti. Nessuno aveva ossa rotte da denunciare. Nemmeno un dolore, da nessuna parte. Solo qualche graffio e poco sangue. Sembrava un miracolo.
E quando riavviammo lo scooter, fermatosi qualche metro prima di noi e pure quello senza danni apparenti, capimmo che il miracolo c’era stato davvero. Illuminata dai fari della moto, potemmo vedere nitida la strisciata lasciata sul prato dai nostri corpi. Passava a mezzo metro, solo mezzo metro, da un grosso palo della luce.
Fine della prima puntata
La seconda verrà pubblicata il 18 dicembre 2021