Prima puntata di cinque
Vi era anche una cosa che veniva chiamata ius primae noctis, probabilmente non da menzionarsi in un libro per bambini. Era la legge secondo la quale ogni capitalista aveva il diritto di andare a letto con ogni donna che lavorava nelle sue fabbriche.
George Orwell, 1984
Prologo. La carrozza
Il fulmine si abbatté da qualche parte nel bosco, e per un istante illuminò a giorno l’intera vallata, vincendo la tenebra che ormai era sul punto di calarvi pesante come una saracinesca sul mondo. Illuminò la montagna che incombeva con pareti alte e verticali, che a quell’ora già schermavano il sole del tramonto, gettando su quel luogo un’ombra scura, fredda, funerea. Illuminò il minuscolo villaggio che all’estremo di quella vallata era sorto in spregio a quel buio e a quel freddo, forse perché chi l’aveva fondato non aveva altro posto dove andare o forse perché amava proprio quel buio e quel freddo.
Il tuono, immediatamente dopo, squarciò il silenzio con violenza, e poi fu soltanto pioggia, torrenziale. Sotto quell’acqua, nel bosco, sul sentiero sterrato che scendeva tortuoso dalla montagna, avanzava impavida e inesorabile una carrozza, trainata da quattro cavalli neri come la notte incipiente. Il cocchiere li frustava e urlava per farli correre ancora di più, e quelli aumentavano l’andatura in modo folle, come se al termine di quella corsa li attendesse la luce e il calore, senza sapere che così non sarebbe stato, che così non avrebbe mai potuto essere.
La carrozza uscì dal bosco e piombò sul villaggio senza rallentare. I cavalli solcavano le strade acciottolate come un branco di predatori affamati. Il cocchiere continuò a frustarli e a urlare finché non arrivò davanti a una delle ultime case. Soltanto a quel punto arrestò di colpo la corsa, proprio mentre un nuovo fulmine illuminava la povertà di quell’abitazione e un nuovo tuono parve farne tremare le pareti.
Il cocchiere smontò dalla carrozza e andò alla porta, poi bussò sul legno grezzo, tre colpi potenti, assestati con irruenza.
Gli aprì un giovane uomo, il volto scuro, lo sguardo basso. Alle sue spalle si celava una giovane donna, il volto livido, lo sguardo timoroso.
- Il padrone è arrivato - disse il cocchiere.
I due giovani si scambiarono una lunga, intensa occhiata, poi lui le fece un cenno d’assenso e lei si avviò dietro il cocchiere, sotto l’acqua.
Il cocchiere tornò alla carrozza e bussò al finestrino per annunciarsi, tre colpi lievi, assestati con riverenza.
- La donna è arrivata, padrone.
Da dentro nessuno ribatté, la sagoma scura si limitò ad annuire.
Il cocchiere fece cenno alla donna di salire e quella obbedì.
- Benvenuta - disse la sagoma scura con voce profonda.
La donna non rispose. Si limitò a guardare fuori dal finestrino, verso casa, dove il giovane uomo, l’uomo che quel giorno aveva sposato, l’uomo che da quel giorno poteva chiamare marito, guardava rassegnato la carrozza fare inversione e ripartire veloce verso il bosco, verso la montagna, facendosi piccola sull’acciottolato, sempre più piccola, fino a sparire del tutto.
Quando il veicolo fu di nuovo nel bosco, la pioggia cessò di colpo. Nel cielo ormai buio le nubi svanirono e apparve la luna, piena, gialla, sospesa nel vuoto. Quella luce, filtrata dal finestrino, rischiarò la sagoma dell’uomo e la donna poté vederlo sorridere, o meglio ghignare. Distolse immediatamente lo sguardo, turbata, e tornò a posarlo sul fitto della vegetazione.
D’un tratto le parve che tra i tronchi e le frasche si muovesse qualcosa, veloce quanto la carrozza. Trasalì quando capì che erano lupi, decine di lupi che parevano volersi stringere attorno al veicolo per assaltarlo. Il cocchiere gridò più forte e i cavalli, terrorizzati, accelerarono.
A una curva più stretta delle altre, che dava su un precipizio, la carrozza sbandò. La donna urlò spaventata, e mentre urlava si accorse che l’uomo, impassibile, continuava a ghignare. Fu a quel punto che le sembrò di svenire.
Il veicolo si mantenne miracolosamente in carreggiata. La donna si riebbe e notò che i lupi erano scomparsi, mentre davanti a loro appariva, stagliato contro la luce lunare, il profilo imponente del castello, la dimora del padrone.
Quando la carrozza varcò finalmente il portone della cinta muraria, lasciandosi alle spalle il bosco, i lupi e la notte, la donna si sorprese a sospirare di sollievo. Quel sospiro, tuttavia, le morì in gola quando si accorse che, sulla bocca del padrone, il ghigno non c’era più. Adesso a brillare, alla luce rossa delle lanterne affisse alla cinta, non erano più i denti, ma gli occhi. Occhi di ghiaccio. Occhi di bestia.
La carrozza passò e i due guardiani richiusero il portone. Poi tornarono in posizione e osservarono in silenzio il veicolo avvicinarsi al castello, fino a esserne inghiottito.
- Un’altra vergine... - disse uno.
- Così ha da essere - disse l’altro.
Fine della prima puntata
La seconda verrà pubblicata il 2 gennaio 2025
Siete fenomenali, buon 2025 di storie e successi!
Buon anno Tersite!