La festa
Una storia che sa di sontuosi buffet, laghetti in giardino e duri scontri generazionali
Quando la festa iniziò, era un mattino di primavera, faceva fresco e c’erano il Vecchio e l’Adulto, mescolati a centinaia d’invitati. Il Vecchio non si sentiva ancora così vecchio, e l’Adulto pensava di avere il mondo in pugno. Erano loro ad averla organizzata, quella festa. Avevano risorse, il Vecchio e l’Adulto, ed erano potenti.
A ogni angolo del grande giardino c’erano sontuosi buffet attorno ai quali si erano radunati quasi tutti gli invitati. Era il benvenuto, e tutti mangiavano di gusto. Quelli che non stazionavano ai tavoli passeggiavano lungo i viali alberati, allietati dal canto degli uccelli, e raggiungevano il laghetto in fondo alla proprietà, ricco di carpe e storioni. Tutti facevano discorsi profondi, parlavano di civiltà, diritti, democrazia, libertà.
Un’orchestra composta da decine di elementi, assisa su uno dei due palchi costruiti al centro del giardino, suonava musica di Bach e Händel, scelta personalmente dal Vecchio, perché riteneva che una festa come quella potesse iniziare soltanto con quella musica soave.
A un certo punto, sull’altro palco, presero il via alcuni spettacoli di danza, e gran parte degli ospiti si avvicinò ad assistervi. Applaudivano gioiosi e la vita pareva loro lieve e sorridente.
Fu in quel frangente che a bordo di grosse berline dai vetri oscurati arrivarono gli amici dell’Adulto. Scesero abbigliati nei loro completi neri gessati, gli occhiali da sole inforcati, le ventiquattrore in mano. Si appartarono con l’Adulto dentro alla villa, parlarono a lungo, firmarono contratti, decisero le sorti di quel mondo. Poi uscirono in giardino e si unirono anche loro alla festa.
Arrivò il momento del pranzo. Le tavolate, sterminate, erano allestite all’aperto, sull’erba. Decine di camerieri servivano piatti colmi di prelibatezze e riempivano i bicchieri di nettari profumati. Gli ospiti mangiavano, bevevano e vociavano allegri.
Fu verso la fine del pasto, poco prima del dolce, che il Vecchio si sentì di colpo molto stanco e indigesto. Proprio mentre l’Adulto teneva il suo discorso sulle sorti magnifiche e progressive che attendevano tutti loro, il Vecchio si alzò da tavola e si allontanò dalla festa. Rientrò nella villa e raggiunse faticosamente la propria camera. Si sdraiò sul letto e si addormentò, con la sensazione che non sarebbe mai più riuscito ad alzarsi.
Fuori, intanto, si unì alla festa il Giovane. Era arrivato volutamente in ritardo, perché sentiva che quella festa era eccessiva, fuori luogo, profondamente sbagliata. Era arrivato solo perché il Vecchio e l’Adulto avevano insistito. Era arrivato con la speranza di rivelarsi il solito pessimista. Ma quando vide gli uomini in nero, al centro della tavolata principale, circondare l’Adulto che sproloquiava di futuro radioso per tutti, capì che le cose stavano esattamente come aveva previsto.
Il pranzo finì e la gente iniziò a sparpagliarsi in giardino, sui viali, attorno al laghetto. Il Giovane, solitario e meditabondo, si aggirava tra loro come un detective selvaggio, cercando gli indizi della loro corruzione, della loro stupidità infinita e grottesca. E li trovava facilmente nei loro abiti di cattivo gusto, nei loro gioielli, nei loro trucchi, nei loro doppiopetti e doppi giochi. Li trovava per terra, tra i rifiuti che iniziavano ad accumularsi. Li trovava per aria, tra i fumi dell’alcol, delle sigarette e dei sigari, dove nessun uccello cantava più. Li trovava nell’acqua, dove carpe e storioni galleggiavano ormai senza vita. Li trovava nel sudore che rendeva opachi e sfatti i volti di tutti, li trovava nella temperatura che era aumentata fino a rendere il clima torrido e soffocante, come se di colpo fosse già estate. O già inferno.
Nel frattempo orchestrali e danzatori avevano lasciato il posto a cantanti neomelodici in maniche di camicia, che incitavano a fare figli e a evadere il fisco, e poi a rapper con la visiera storta e molti tatuaggi, che incitavano a rubare, rapinare, sbudellare. Gli invitati, ormai quasi tutti ubriachi, ballavano frenetici e dimentichi d’ogni responsabilità, se non quella di vomitare sull’erba e poi tornare a ballare.
Quando il sole tramontò, arrivò il momento di mangiare di nuovo. La gente mangiava e vomitava al tempo stesso, vomitava per mangiare, mangiava per vomitare. I discorsi non avevano più né capo né coda, e nemmeno vocabolario, dato che ormai tutti si esprimevano quasi solo a gesti belluini, versi gutturali, urla assordanti e risate scomposte.
L’Adulto si aggirava fra i tavoli soddisfatto, elargendo sorrisi, mentre il Giovane posava su tutto e tutti il suo sguardo sconsolato, consapevole, impotente. A un certo punto i due si incrociarono. L’Adulto fece per abbracciare il Giovane, ma questi si divincolò e l’Adulto cadde a terra. Il Giovane, disgustato, lo accusò di essere il responsabile di ogni cosa. L’Adulto si rialzò e gli domandò di cosa stesse parlando. Di questo, disse il Giovane indicando lo sfacelo della festa. L’Adulto scoppiò a ridere. A me invece sembra una bellissima festa, disse rialzandosi. Poi si buttò sul Giovane, lo pugnalò a morte, sputò sul suo cadavere e tornò a divertirsi.
Fu qualche minuto dopo, mentre la temperatura continuava a salire, l’aria e l’acqua ad appestarsi e i rifiuti ad accumularsi, che il cibo improvvisamente finì. Il blackout seguì poco dopo. La gente non poteva più mangiare, i cantanti non potevano più cantare. Sulla festa calò il buio. E nel buio iniziarono a sentirsi grida e poi lamenti.
Il Bambino uscì dalla villa e arrivò in giardino quando già non si sentiva più nulla. Il silenzio era assoluto, tombale quanto l’oscurità. Si sentivano solo un calore insopportabile e un puzzo terribile, rivoltante.
Il Bambino teneva in mano una lanterna, e dentro la lanterna fiammeggiava una candela. Tenendola sollevata, iniziò ad aggirarsi tra i tavoli. S’imbatté per primo nel cadavere del Giovane. Poi vide anche quelli dell’Adulto e degli altri. Gli bastò poco per capire che erano tutti morti. Si erano avvelenati, intossicati, strozzati, pugnalati, squartati.
Sconsolato, il Bambino tornò dentro.
- Cos’hai visto? - gli domandò il Vecchio con voce debole, esitante.
Il Bambino aprì la porticina della lanterna, soffiò sulla candela e la spense.
- La fine del mondo - rispose.
Bellissimo racconto, complimenti :)
un racconto duro ma al contempo non troppo distante da una realtà che potrebbe essere di là da venire