Il sosia umanoide
Una storia che sa di partite a golf, donne condivise e rivelazioni conturbanti
L’intelligenza artificiale e la robotica avevano fatto grossi progressi. Era finalmente possibile commissionare la realizzazione di un umanoide col corpo e la mente desiderati. Bastava pagare una cifra esorbitante e in un anno te lo recapitavano a casa. La maggior parte degli ultraricchi, manco a dirlo, si fece costruire donne bellissime col cervello di gallina. Qualcuno un po’ più morigerato fece replicare la madre defunta, o il fratello, o il figlio. Io no. Io decisi di far costruire un umanoide identico all’unica persona al mondo che giudicavo degna d’interesse: me stesso.
Quando il mio sosia arrivò, lo guardai a lungo prima di attivarlo e rimasi colpito dall’incredibile somiglianza: era bello proprio come me. Quando schiacciai il pulsante “ON” e gli diedi vita, mi colpì l’intensità dello sguardo, identico al mio: sembrava davvero umano. Quando lo sentii pronunciare le prime parole, “Ciao Paolo, sono Paolo”, rimasi affascinato dal suono di quella voce, che mi parve diversa dalla mia, eppure così familiare, piacevole, persino soave.
Le prime settimane furono meravigliose. Io e il mio sosia ci intendevamo alla perfezione. Non c’era quasi bisogno di parlare, ci capivamo prima, in modo telepatico. E quando si parlava, erano discorsi pregni, decisivi, d’intesa piena e totale, come mai mi era capitato con nessun altro. Ci divertivamo. Si giocava a tennis o a golf per ore, e ogni volta erano partite combattutissime, eravamo bravi allo stesso modo, era sempre difficile prevedere chi potesse vincere o perdere. Insieme andavamo anche a donne, ed era divertentissimo vederle totalmente indecise su chi di noi due scegliere. È superfluo dire che alla fine non dovevano farlo, perché si faceva sempre una cosa a tre: e che incredibile prestanza, il mio sosia, sotto le coperte, tale e quale a me!
L’idillio, tuttavia, terminò presto. A un certo punto iniziai a provare nei confronti di quell’umanoide un’insofferenza sempre più marcata. Il suo fisico scolpito, la sua abbronzatura impeccabile, la sua prestanza micidiale: era la versione di me al massimo splendore. Solo che lui quello splendore lo conservava sempre, in ogni istante, mentre io, che ero umano, avevo i miei inevitabili momenti di défaillance: mi ammalavo, avevo mal di testa, nausea e via dicendo. Insomma, l’umanoide mi ricordava di continuo che ero un essere imperfetto. E la cosa non accadeva solo sul piano fisico, ma anche, ed era persino peggio, su quello mentale. L’intuito folgorante, l’impressionante dialettica, il decisionismo implacabile: erano le mie migliori qualità e lui ne era perennemente provvisto. Io no. Quando ero stanco, provato, assonnato, facevo spesso cilecca, e l’umanoide stava lì a rimarcarlo.
L’insofferenza nei suoi confronti crebbe via via anche per un’altra ragione, che all’inizio mi fu poco chiara e poi, quando la compresi, mi turbò per molti giorni: era me stesso che in realtà non sopportavo. La perfezione psico-fisica dell’umanoide, che poi era la mia, alla lunga dava terribilmente sui nervi. Cominciai a capire perché non avevo amici, ma solo servitori impotenti da una parte e rivali acerrimi dall’altra. Avevo sempre pensato che i primi non potessero fare a meno di riconoscere il mio carisma, e i secondi di invidiarmelo. Invece, molto più probabilmente, i primi provavano solo paura, e i secondi disprezzo. E lo facevano per la stessa, identica ragione: quell’insieme di caratteristiche che mi erano proprie e che io definivo intelligenza superiore, non era altro che prepotenza insopportabile, e generava in chiunque avesse a che fare con me nient’altro che ostilità, muta o aperta che fosse.
Fu a quel punto, davanti a quella rivelazione, che presi la decisione di rinnegarmi, lasciando per sempre il mio posto all’umanoide. Era identico a me e nessuno se ne sarebbe accorto, pensai, e in effetti, da allora, nessuno lo ha fatto. Trattenendo dal mio patrimonio l’indispensabile per vivere, mi ritirai definitivamente dagli affari. Cambiai identità e pure connotati. Cambiai vita. Oggi sono impegnato a fare un’unica cosa, la sola che m’interessi: distinguermi in tutti i modi dallo stronzo che ero. Non è facile, e talvolta ci ricasco. Ma faccio progressi. Qualche amico posso dire di averlo anch’io, adesso. Di umanoidi non ho più bisogno. E di sosia tanto meno.
Umanoidi ammazza-stronzi, ci sta il brevetto!
Ne ho già abbastanza di me, figurati se mi clono... ;-)